Mauro Uberti
Il diritto al canto
Studi e Documentazioni. Rivista umbra di musicologia, Perugia, Dicembre 2008
Ho sempre creduto
nel diritto al canto. È un diritto del quale la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo[1]
non parla, ma che a me pare possa rientrare a pieno titolo in quel comma
dell'articolo 27 nel quale si dice che «Ogni individuo ha diritto di prendere
parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di
partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici». Godere delle arti,
nel caso della musica, non significa che se ne debba godere soltanto come
ascoltatori; anzi, una delle maggiori fonti di felicità per chi la ama è
proprio quella di praticarla attivamente. Il modo più agevole di farlo sarebbe
quello di cantare, ma a questo punto ci si scontra con una difficoltà
oggettiva: non tutti sono dotati di mezzi vocali sufficienti e pare anzi che,
per quanto riguarda la voce, Mamma Natura con qualcuno sia stata madre e con
altri matrigna; qualcuno apre bocca e canta come un uccello sul ramo mentre
altri hanno voci sgraziate, deboli e di poca estensione quando non sono
stonati. L'opinione corrente è che la voce sia una sorta di carattere anatomico
come le gambe dritte o le gambe storte e che chi ce l'ha ce l'ha mentre chi non
ce l'ha non ce l'ha. E non c'è niente da fare. La voce, invece, un carattere
anatomico non è; la voce è il prodotto di una funzione fisiologica, la
fonazione, che coinvolge tutto il corpo e non soltanto la laringe. Quando il
coordinamento necessario a produrla è buono, la voce è buona; quando il
coordinamento è insufficiente la voce è insufficiente per qualità, potenza,
estensione ed intonazione o per più insufficienze insieme. Da questo fatto
discende una conseguenza ovvia: i caratteri anatomici non sono modificabili
mentre i coordinamenti lo sono e quindi, a condizione di desiderarlo e di
essere disposti ad impegnarsi quanto è necessario, chiunque è in grado di
dotarsi di una voce utile ad esprimersi musicalmente, ad esercitare, cioè, il
proprio diritto al canto. Come arrivarci è un discorso che investe la
concezione dello studio del canto.
L'aspirante a fare
il cantante classico si avvicina agli studi vocali sulla base del presupposto
di cui sopra, di essere cioè dotato per natura di buona voce e di avere bisogno
soltanto di imparare una tecnica che gli consenta di avviarsi alla carriera
musicale teatrale; la nostra cultura dotta, infatti, ha circoscritto la pratica
del canto all'ambito della musica lirica un po' come la nostra cultura sportiva
ha circoscritto lo sport al gioco del calcio. Non è vero che l'unico sport sia
il calcio così come non è vero che l'unico genere vocale sia la lirica e
coltivare un genere vocale soltanto - e purtroppo accade - è nefasto per la
musica così come è nefasto per lo sport - e purtroppo accade - coltivare
soltanto il calcio.
Il fatto che per
cantare professionalmente musica lirica occorrano doti fisiche particolari -
esattamente, peraltro, come ne occorrono per fare dello sport professionale -
ha condizionato anche la didattica del canto. Insegna giustamente canto lirico
chi ha cantato musica lirica - cioè, appunto, chi aveva le doti fisiche per
farlo - e quindi il rapporto didattico fra maestro ed allievo si svolge fra
persone le cui costituzioni fisiche hanno in comune la predisposizione al
canto. Prescindendo dal fatto che le tecniche di canto liriche - perché di una
molteplicità di tecniche si tratta - non sono le sole richieste dalla musica
classica, questo tipo di didattica esclude i comuni mortali dagli studi vocali.
A me interessa invece che la possibilità di fare uso musicale della propria voce
- ad esercitare, cioè il diritto al canto - si estenda al maggior numero
possibile di persone, indipendentemente dal fatto che si intenda fare del canto
una professione.
Come arrivarci è un
problema di didattica. Il cantante classico ha costruito la propria tecnica su
un sistema di sensazioni percettive del proprio corpo, le cosiddette sensazioni
propriocettive;
si è formato cioè uno schema corporeo vocale, consolidato con l'esperienza,
il cui significato anatomico e fisiologico gli è ignoto, ma che gli serve
egregiamente per gestire il proprio corpo nell'emissione della voce. Quando
diventa insegnante, egli, che conosce e controlla il suo corpo per sensazioni,
tende a comunicarle all'allievo descrivendole come meglio sa e guidandolo alla
costruzione di un suo personale sistema propriocettivo, che gli consenta di
orientarsi a sua volta nell'emissione della voce. Il metodo sarebbe sempre
valido se tutti i cantanti avessero la stessa costituzione fisica. In realtà la
variabilità anatomo-fisiologica dei comuni mortali vale anche per loro e, di
conseguenza, accade con frequenza superiore al desiderabile che maestro ed
allievo non si capiscano perché i loro schemi corporei non sono abbastanza
simili; le cose, cioè, si svolgono come se i due si sforzassero di comunicare
parlando lingue diverse. A parità di capacità didattiche degli insegnanti, uno
dei motivi per i quali è caso frequente che gli studenti di canto vadano
peregrinando da un maestro all'altro fino a trovare quello che poi considerano
il maestro per eccellenza - ma anche fino a non trovarlo mai - è proprio
l'eccessiva diversità fra gli schemi corporei del maestro e dell'allievo.
Giungere a comprendersi fra persone parlanti lingue diverse sarebbe anche
possibile, a patto però di essere disposti a costituire un «vocabolario» che
consenta di tradurre le sensazioni del maestro ad uso dell'allievo. Fatto che
raramente accade anche perché nella maggior parte dei casi il cantante-maestro
- e non ci addentreremo qui nella psicologia dei cantanti - è persona istintiva
e restia ad affrontare razionalmente i problemi così come, peraltro, il suo
allievo. La razionalizzazione del processo psico-somatico attraverso il quale
si giunge ad esprimersi musicalmente con la voce, dai cantanti è considerata
aridità; viene così a mancare quella consapevolezza della materia da insegnare,
che è presupposto imprescindibile di ogni didattica che abbia dignità di
disciplina pedagogica (Rachele Maragliano Mori, che si poneva fra i maestri di
canto come segno di contraddizione, chiamava questa consapevolezza «Coscienza
della voce»[2]). Non sarà
quindi la didattica tradizionale quella da cui il comune mortale, desideroso di
conquistare il proprio diritto al canto, potrà aspettarsi aiuto.
La via sicura,
anche se a prima vista tortuosa, per chi voglia acquisire la propria voce è
invece quella di avvalersi delle conoscenze anatomiche e fisiologiche che la
scienza mette a nostra disposizione. Mi spiego. Il maestro di pianoforte, tanto
per fare un esempio, vede dall'esterno il comportamento fisico dell'allievo
così come questo, se è abbastanza consapevole di ciò che fa, è in grado di
capire da solo se la sua mano è allineata con la tastiera, se le dita sono
contratte, ecc. La comunicazione fra maestro ed allievo è di conseguenza
agevole. Nel caso del canto le cose non sono altrettanto semplici. Gli organi
della fonazione sono nascosti dentro al corpo e dall'esterno si vede soltanto
il tipo di respirazione e di articolazione. Non sarebbe poco se si sapesse con
sicurezza quale comportamento pneumo-fonico corrisponde alla voce che si
intende ottenere, ma questo è proprio ciò che non accade quasi mai.
È necessario fare
ancora un altro discorso: quello della molteplicità delle tecniche vocali. Chi
si ponga, per esempio, ad ascoltare la registrazione video di un concerto dei
Tre Tenori - José Carreras, Placido Domingo e Luciano Pavarotti - ha modo di
mettere a confronto immediato tre voci della stessa classe vocale, di
apprezzarne le differenze e, anche se non è un esperto in materia, intuire
almeno quanto di queste differenze sia dovuto al fatto che le voci appartengono
a tre diversi individui e quanto invece al fatto che ognuno dei tre tenori
canta in modo diverso. Ho detto «registrazione video» perché da questa si
possono vedere molto bene i diversi modi di aprire la bocca, di articolare e di
respirare nonché tutti i diversi comportamenti corporei, che non è il caso di
enumerare qui e che però, essendo sistematici, costituiscono la tecnica vocale
di ognuno di loro. Si può inoltre capire quanto la tecnica vocale sia
inscindibile dall’espressività, quanto essa sia funzionale a realizzarla e,
soprattutto, che a monte delle tre tecniche vocali ci sono tre scelte estetiche
diverse. Ma per fare delle scelte occorre essere in condizione di farle. Il
potenziale cantore alla conquista della propria voce deve prima conquistarsi
una tecnica vocale di base che gli consenta di esprimersi vocalmente nel modo
più semplice; deve, cioè, conquistarsi un coordinamento pneumo-fonico
efficiente.
Ho già parlato più volte di coordinamento e non ho detto che cosa intenda
con questa parola; per farlo sono costretto a fare una deviazione nel campo
della fisiologia. A differenza di quanto solitamente si ritiene, la voce non
dipende soltanto dalla laringe; la fonazione è una funzione globale come la
deambulazione. Per intenderci: che per camminare servano anche le mani è
dimostrato dal fatto che quando si vuole impedire ad una persona di fuggire gli
si legano appunto le mani. E ancora: che per camminare usiamo anche la testa ce
ne accorgiamo quando abbiamo il torcicollo e ad ogni passo ci fanno male i
muscoli del collo che la tengono in equilibrio. Non è questa la sede per una
trattazione della genesi evolutiva del sistema fonatorio, che spiegherebbe le
ragioni di questa affermazione, ma che la fonazione sia anch'essa una funzione
globale come la deambulazione lo si può verificare immediatamente con un
semplice esperimento: se proviamo a parlare, prima in piedi, ascoltando la
nostra voce - se non si sa che cosa dire basta mettersi a contare - e poi
seduti, con le braccia ed il capo appoggiati ad un tavolo come per dormire e
con le gambe divaricate in modo che l'addome sia libero di espandersi verso il
basso, oltre a verificare che la nostra respirazione si è fatta addominale
sentiamo che la nostra voce si è fatta più morbida e profonda. Modificando la
postura, cioè l'atteggiamento di tutto il corpo, la voce cambia. La spiegazione
è nel fatto che le corde vocali - il cui funzionamento sarebbe più chiaro se
fossero chiamate labbri vocali, ma alle quali è ormai impensabile cambiare nome[3]
- funzionano in modo molto simile a quello delle labbra quando si fanno
pernacchie o si suona la tromba. Nel primo caso le labbra, che hanno struttura
prevalentemente muscolare, entrano in tensione per contrazione attiva, nel
secondo perché la pressione dei margini del bocchino le distende passivamente.
Ovviamente, quando si suona la tromba i due meccanismi sono attivi
contemporaneamente ed in proporzioni variabili. La laringe è fatta in modo
diverso dalla bocca, tuttavia in modo analogo le corde vocali possono contrarsi
attivamente così come possono essere distese passivamente perché le loro
inserzioni sulle cartilagini di questa possono allontanarsi fra loro per un
gioco di leve. Quando le usiamo in contrazione attiva concentriamo lo sforzo su
di esse affaticandole; quando riusciamo a distenderle passivamente intervenendo
sui movimenti delle cartilagini della laringe scarichiamo invece il lavoro sui
muscoli del corpo.
Non è il caso qui di addentrarsi oltre nella fisiologia della fonazione, ma
almeno un concetto fondamentale va esposto: la laringe è posta al sommo della
trachea in equilibrio instabile fra la sospensione al cranio tramite una catena
di ossa e muscoli e l'appoggio ai muscoli addominali tramite i visceri
interposti; ogni cambiamento nella postura, nella meccanica respiratoria,
nell'articolazione della bocca, ecc. determina cambiamenti nella geometria
della laringe e quindi nella trazione sulle corde vocali. Intervenendo
opportunamente sulla geometria di tutto il sistema si riesce a determinare un
coordinamento pneumo-fonico sufficiente alla produzione di una voce altrettanto
sufficiente ad esprimersi musicalmente. Ho detto «esprimersi musicalmente» e
non «cantare professionalmente» perché il mio interesse non è rivolto a formare
cantanti professionali - anche se posso dire per esperienza che i procedimenti
di cui sto parlando servono pure a formare i cantanti professionali - ma a
fornire a chiunque lo desideri i mezzi per esprimersi musicalmente col canto.
Per dire la verità, a questo risultato si può giungere anche senza fornire
al soggetto interessato informazioni scientifiche. Se costui ha fiducia
nell'insegnante e voglia di conquistarsi una voce, è possibile portarlo a buoni
risultati senza chiedergli di ragionare molto. Io, per esempio, che dirigo due
cori amatoriali senza nessuna mia ambizione musicale e con l'intento
dichiarato, invece, di fare socializzazione ed educazione permanente, mi
ritrovo il problema di ottenere dai miei coristi una vocalità sufficiente a
conseguire risultati musicali almeno decorosi; quindi, dato che la velocità di
rotta di un convoglio navale è data da quella della nave più lenta - in questo
caso da persone che dalla musica desiderano ottenere la massima soddisfazione senza
troppo sforzo - sono costretto a ridurre lo studio della tecnica vocale
all'essenziale. Risolvo almeno in parte il mio problema facendoli «rotacizzare»
anziché vocalizzare, cioè facendo loro eseguire i comuni vocalizzi su una [r]
anteriore (apicale) prolungata anziché su di una vocale. La [r] è l'ultimo
fonema che il bambino impara perché è quello che richiede il maggior grado di
coordinamento pneumo-fonico oltre che la maggiore energia respiratoria ed
articolatoria; non solo, è anche quello il cui coordinamento è modello ottimale
per la produzione delle vocali (ai coristi che hanno la [r] posteriore
(uvulare) alla francese faccio invece eseguire gli stessi esercizi su una [s]
sonora). I risultati sono accettabili e non vado oltre. Se però gli stessi coristi
desiderano fare di più, devo fare loro lezione a parte e in questo caso
fornisco loro alcune nozioni di anatomia e fisiologia, necessarie a comprendere
il perché dell'efficacia di questa consonante e a svilupparne le componenti
fisiologiche. Le sole nozioni teoriche, però, servirebbero a ben poco; ciò che
serve è prendere coscienza del proprio corpo incominciando col dare un senso
alle sensazioni che si provano o scoprendone di nuove con procedimenti
opportuni. Fermiamoci all'esempio della respirazione addominale che abbiamo
visto prima. È nozione comune che una respirazione ottimale deve essere
completa delle sue componenti costale e addominale. Chi è dotato per natura di
questo tipo di respirazione è già in possesso dei mezzi fondamentali per una buona
vocalizzazione; chi invece ha una respirazione tendenzialmente costale deve
anzitutto scoprire quella addominale. La postura seduta che ho descritto è il
modo ottimale per ottenerla perché in questa posizione la forza di gravità
lavora a nostro vantaggio facendo distendere i muscoli addominali sotto il peso
dei visceri ed obbligandoli a lavorare poi attivamente nell'espirazione. È vero
che quando ci si rialza tutto ritorna come prima, ma quell'esperienza ci ha
fornito un buon modello per cercare anche in postura eretta la sensazione di
riferimento per una respirazione addominale corretta. Per correggere una
respirazione non abbastanza efficiente ai fini del canto sono necessari gli
esercizi di ginnastica respiratoria che si praticano in fisioterapia toraco-polmonare
e che potremmo eseguire diligentemente fino ad ottenere il risultato desiderato
senza preoccuparci d'altro. Chi però fa un uso musicale della voce dovrebbe
saper gestire il proprio respiro in modo raffinato e in questo caso avere
coscienza fisica del proprio diaframma (che, fra l'altro, funziona in modo
diametralmente opposto a quello che di solito i musicisti credono) e di tutti i
muscoli respiratori sarebbe utile. Con procedimenti del tipo descritto per la
respirazione addominale e col sussidio di tavole anatomiche che permettano di
dare un nome ed una collocazione precisa alle sensazioni che si provano, la
topografia del proprio corpo si chiarisce e la consapevolezza ottenuta consente
di gestire il proprio corpo con sicurezza anche quando condizioni di minore
efficienza fisica - stanchezza, malesseri, ecc. - rendono l'uso della voce meno
sicuro.
Sempre a proposito di respirazione e tornando all'argomento della fonazione
come funzione globale - o, se si vuole usare un aggettivo alla moda, olistica -
può essere interessante fare un altro piccolo esperimento. Nell'opinione comune
la respirazione è concepita soltanto come quella parte della fonazione
destinata alla produzione del fiato; in realtà ciò che più conta non è la
quantità di fiato, ma la meccanica respiratoria. Poniamoci questa volta in
piedi e cerchiamo di individuare con chiarezza la sensazione del punto della
parete addominale dal quale si sente partire il respiro. A seconda della
costituzione individuale, esso può trovarsi ad altezze che, da un punto
intermedio fra l'ombelico e il pube, possono giungere fino all'inserzione dei
muscoli retti dell'addome sulle coste inferiori. Si provi di nuovo a parlare
ascoltando la nostra voce come si era fatto prima di ricercare la respirazione
addominale seduti ed appoggiati ad un tavolo, poi si esegua una decina di volte
l'esercizio rappresentato in figura.
Si parta cioè dalla
posizione a piedi uniti come nel disegno a sinistra, poi, a tempo, si aprano le
punte dei piedi senza piegare le ginocchia, si richiudano, si aprano i talloni
sempre senza piegare le ginocchia, si tornino a riunire i piedi e si ricominci
da capo. Non è il caso di preoccuparsi delle fasi di inspirazione ed
espirazione perché sarà il corpo a prendersi da solo il ritmo opportuno. Al
termine dell'esercizio si scoprirà che il punto di partenza della respirazione
si sarà abbassato, che la respirazione stessa si sarà fatta più completa e che
la voce, come già era avvenuto nella postura seduta, si sarà fatta più morbida
e sonante. Sarà pure il caso di osservare che al termine dell'esercizio si
avverte in particolare nella propria respirazione un incremento di quella
componente addominale che si era già scoperta nella postura seduta[4].
La conclusione logica è che, se con un semplice esercizio eseguito una volta
sola si può ottenere un risultato immediato e sensibile, anche se passeggero, è
ragionevole prevedere che con un lavoro sistematico e continuativo, composto da
una serie di esercizi opportuni si possa ottenere un risultato più accentuato e
più duraturo[5].
Ho detto prima
dell'influenza dell'articolazione della mandibola sulla geometria della
laringe e sulla tensione delle corde vocali. L'influenza del comportamento
della mandibola non si limita a questo, ma è fondamentale nel determinare la
postura del cantore e quindi la sua meccanica respiratoria. Per sciogliere ogni
possibile dubbio ricordo l'uso in ambito sportivo del cosiddetto byte. Si tratta di una
specie di morso in materiale plastico, simile ai paradenti dei pugili e
realizzato in base all’impronta delle due arcate dentarie, che, portato durante
l'attività sportiva, modifica la postura dell'atleta aumentandone le
prestazioni; l'atteggiamento della mandibola, cioè, influisce su tutto il
corpo. Anche il canto, benché non ci si pensi mai, è un'attività atletica nella
quale la bocca svolge un'attività ben più raffinata che nello sport. Che una
buona apertura della bocca serva a far sfogare meglio il suono è una leggenda
metropolitana; una buona apertura della bocca contribuisce invece a determinare
un comportamento fonatorio efficiente e la consapevolezza di ciò che si fa e di
ciò che si dovrebbe fare aiuta a realizzarlo. Si tratterà anche in questo caso
di sviluppare le sensibilità opportune con opportuni esercizi e di costruire, se
necessario, quel buon accordo pneumo-fonico che Mamma Natura può non aver dato
al cantore.
La complessità del
comportamento della bocca nel canto non si limita al coinvolgimento di questa
nella meccanica respiratoria e in quella delle corde vocali; la bocca, volendo
usare questo solo termine per indicare il complesso degli organi articolatori,
è la principale responsabile della modulazione del suono prodotto dalla
laringe. È fatto poco noto che parte importante della qualità della voce è la
componente vocalica, il timbro, cioè, delle vocali che imprime un colore
proprio a quello del suono originale della laringe. I rapporti esistenti tra la
forma del canale vocale nella pronuncia delle diverse vocali ed il timbro delle
stesse, invece, sono perfettamente noti dalla fonetica. Anche chi non si sia
mai occupato di questa disciplina può farsi un'idea del rapporto esistente fra
atteggiamenti articolatori e timbro della voce confrontando allo specchio i
suoni emessi con i diversi gradi di apertura della bocca, con i diversi
atteggiamenti delle labbra e della lingua ecc.; non solo, ma come si riottenga
lo stesso timbro quando si riportino gli organi articolatori in una stessa
posizione. Tutto questo significa che, a condizione di sapere quale timbro si
intenda ottenere e in che modo si può produrre, è possibile scegliere a piacere
il proprio sistema vocalico e, anche se non si ha un timbro laringeo splendido,
rendere la propria voce almeno gradevole. Chi ha visto il film Cantando
sotto la pioggia (1952),
ricorda certamente il caso della bionda e svampita Lina Lamont (Jean Hagen),
diva del muto che all'avvento del sonoro deve fare i conti con la sua voce
sgraziata e farsi doppiare. Sugli schermi, di splendide bionde dalla voce
sgraziata ne appaiono anche oggi, ma almeno loro che vivono nella realtà
dovrebbero sapere che, mentre il suono prodotto dalla laringe è quello che
Mamma Natura ci ha dato (e che tuttavia può essere ampiamente migliorato
lavorando sul coordinamento pneumo-fonico), sulle vocali si può ampiamente intervenire.
È il caso ora di
fare una puntata sul problema della stonazione. Per comodità possiamo dividere
il problema in due parti. La stonazione che potremmo definire «vera» è quella
che possiamo ricondurre all'amusia (dal greco a-mousía: essere straniero
alle Muse, non avere il senso del bello artistico) che è la sordità all'altezza
tonale e quindi l'incapacità biologica di comprendere
la musica[6]. A titolo di
esempio posso citare il caso di una mia conoscente affetta appunto da amusia,
la quale mi raccontava di come, assistendo una sera in famiglia alla
trasmissione televisiva «La Corrida», non riuscisse a capire perché i suoi
familiari ridessero tanto di un concorrente che cantava - stonando, come le
spiegarono poi - e nella cui esibizione, tuttavia, lei non trovava nulla di
anormale. È ovvio che la mia conoscente non prova alcun desiderio di cantare e
che quindi non si pone neppure il problema della stonazione. L'amusia ha
diversi gradi di gravità ed è evidente che comporta l'incapacità di intonare da
parte del portatore il quale non sarebbe comunque in grado di avvertire le
proprie stonature. La stonazione più comune è dovuta invece ad insufficiente coordinamento
pneumo-fonico. Un famoso pianista italiano mi confessava di essere stonato e di
aver faticato, quand'era al conservatorio, per superare l'esame di solfeggio
che, come si sa, comprende una prova di solfeggio cantato. Egli era
perfettamente conscio della sua stonazione, ma non sapeva che farci.
L'esperienza mi ha insegnato invece che, intervenendo nei modi opportuni sulla
meccanica respiratoria, è possibile correggere le voci stonate; momentaneamente
o in modo duraturo, ma, nel secondo caso, a condizione, che la persona stonata
desideri prendersi cura della propria voce con continuità. Quando lo
scoordinamento e la stonazione sono lievi può bastare mettersi in posizione
supina e provare cantare. In questa postura la forza di gravità lavora a nostro
vantaggio scaricando il peso dei visceri verso il capo e determinando
automaticamente un buon accordo pneumo-fonico. Dopo un certo numero di
tentativi, necessari per superare il disagio di cantare nell'insolita
posizione, il cantore lievemente stonato riesce ad intonare. Lo stesso accade
ponendosi nella postura seduta che ho suggerito per scoprire la respirazione
addominale. Ovviamente, quando si ritorna in posizione eretta la stonazione
ricompare. Nei casi meno lievi un metodo drastico è quello di aiutare il
cantore stonato ponendosi inginocchiati accanto a lui ed aiutandolo comprimendogli
l'addome mentre canta. Al momento in cui si riesce a vincere la resistenza del
soggetto, che peraltro cerca di respirare nel modo errato abituale, di colpo
egli intona. Con voce sgraziata, ma intonata. La laringe, cioè, si comporta
come se, al di sotto di una certa soglia di coordinamento intoni per tentativi
mentre, superata quella soglia, riesca a fare ciò che l'orecchio le suggerisce.
I procedimenti descritti danno, come detto, un risultato solo momentaneo. Per
ottenere un risultato duraturo occorre un ciclo di esercizi come quelli che si
usano in fisioterapia toraco-polmonare, capaci di correggere radicalmente il
comportamento respiratorio. Posso dirlo con sicurezza perché nel circuito
teatrale internazionale è ormai molto noto un cantante del quale, per
discrezione, non dico neppure la classe vocale e che era approdato stonato alla
mia classe di Pre-canto del Conservatorio di Parma provenendo da una classe di
strumento. La sua fortuna, ma anche la mia, fu quella di trovarsi come
insegnante di ginnastica il mio collega prof. Angelo Morandi - che, tra
parentesi, una volta si era preso pure una laurea in medicina - il quale capì
perfettamente la portata di quanto ho appena descritto[7].
Per parte sua l'allievo si impegnò fino allo spasimo e il risultato è quello
che ho detto.
A questo punto del
discorso è il caso che io dica perché mi sento di affermare con tanta sicurezza
la possibilità, per chiunque veramente lo voglia, di conquistarsi una voce. La
mia sicurezza nasce dall'esperienza personale. Sono sempre stato intonatissimo,
ma per quanto riguarda la respirazione, come ho capito poi, sono stato
fondamentalmente uno scoordinato. Ricordo, per esempio, di aver acquistato da
ragazzo un flauto dolce e di averlo poi regalato per disperazione perché non
riuscivo ad intonare: il mio sostegno respiratorio era talmente instabile - lo
so adesso - da non riuscire a sostenere i suoni tanto da realizzare una
melodia. Gli effetti di quello scoordinamento sulla voce si manifestarono
quando cominciai ad insegnare ed in capo a pochi giorni mi ritrovai afono.
Nessun foniatra riuscì a risolvere il mio problema. Escogitai una soluzione
provvisoria per l'insegnamento facendomi costruire un piccolo sistema di
amplificazione terminante in un piccolo altoparlante che collocavo a metà della
classe fra i banchi; contemporaneamente, mettendo a frutto la mia preparazione
biologica - del resto allora insegnavo Matematica e Osservazioni scientifiche -
incominciai a chiedermi di quali sottoproblemi potesse essere composto il
problema voce e a cercare di risolverli separatamente cercando intanto di
capire quale branca della medicina, oltre la foniatria, avrebbe potuto darmi
delle risposte. Trovai finalmente un aiuto nelle conoscenze della fisioterapia
toraco-polmonare e, integrando queste con i miei tentativi, riuscii a
reimpadronirmi della mia voce. Quale sia stato in pratica il mio percorso è
facilmente intuibile da quanto ho detto precedentemente. In seguito cambiai
mestiere e, ad un certo punto della mia carriera scolastica, il corso
sperimentale di Pre-canto che ad un certo momento mi fu affidato al
Conservatorio di Parma mi permise di trasferire sugli allievi la mia esperienza
personale; non solo, ma, in collaborazione con loro, che erano perfettamente consapevoli
di partecipare ad un esperimento, di perfezionarla. È evidente che ciò che è
stato possibile per me e per i miei allievi è possibile per chiunque.
Una delle
conclusioni alle quali sono arrivato in questo travagliato percorso personale è
che le diverse branche della medicina non comunicano fra di loro e che se
invece le diverse discipline mediche avessero una visione più interdisciplinare
dei problemi, la medicina ne sarebbe avvantaggiata. Mi tengo piuttosto
informato sugli sviluppi della foniatria e sono sempre più stupito nel
constatare che le cose che ho detto, che pure stanno sotto gli occhi di tutti e
che sono di una semplicità offensiva, passano inosservate. Non solo: è anche accaduto
che operatori del campo della fisioterapia toraco-polmonare, dell'osteopatia,
della medicina dello sport, ecc., che pure mi aiutavano generosamente nelle mie
ricerche dichiarassero apertamente di non capire come e perché le loro
conoscenze potessero essere utili per la voce.
L'altra
considerazione è che, se si capisse la relazione tra l'attività fisica e la
voce, ne gioverebbe l'educazione musicale in senso lato. Chi ha esperienza di
vita rurale sa che i contadini, a differenza dei cittadini, sono - o erano -
quasi tutti intonati (gli stonati rientrano - o rientravano - nella categoria
degli affetti da amusia). Ho usato la formula dubitativa perché non so se i
discendenti dei contadini della mia generazione, che aiutati dalle macchine non
sono più soggetti all'impegno fisico dei loro maggiori, abbiano ancora il
coordinamento pneumo-fonico spontaneo di quelli con cui andavo a scuola io. È
certo però che se nella scuola d'oggi si tendesse a costituire questo
coordinamento realizzando un'alleanza fra l'insegnante di educazione musicale e
quello di educazione fisica, noi avremmo un maggior numero di persone in grado
di fare musica attiva con la voce.
Concludendo: il
diritto al canto, oggetto di questo scritto, non è un'utopia. Non ho detto,
però, che il percorso per ottenerlo sia comodo ed agevole. Può non essere
comodo imporsi di fare attività fisica se per indole o per impegni si ha difficoltà
ad impegnarvicisi; può non essere agevole se non si sa da che parte incominciare
e non si trova chi, pur essendo in grado di aiutarci, non è pronto a farlo
perché nemmeno sospetta il rapporto fra corpo e voce. Ma questo è un altro discorso.
[1] Dichiarazione Universale dei
Diritti dell'Uomo, adottata dall'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948.
[2] Rachele Maragliano Mori, Coscienza
della voce nella scuola italiana di canto, Milano, Curci, 1970.
[3] Il nome delle corde vocali è
dovuto al medico francese Antoine Ferrein (1693-1769) il quale fu il primo a
studiare sperimentalmente la fonazione sulla laringe isolata. Egli identificò
l'elemento vibrante nelle pieghe vocali anziché nell'aria e le paragonò alle
corde di uno strumento ad arco ponendo sullo stesso piano l'azione dell'aria
sulle «corde vocali» e l'azione dell'arco sulle corde del violino. Di qui il
nome.
[4] La spiegazione fisiologica del
fatto è la seguente: aprendo le punte dei piedi il bacino ruota in avanti, le
curvature dorsali tendono ad appiattirsi mentre
i muscoli addominali sono indotti a rilassarsi come nell'inspirazione; aprendo
i talloni, invece, il bacino ruota all'indietro, le curvature dorsali tendono
ad accentuarsi ed i muscoli addominali sono indotti a contrarsi come
nell'espirazione. L'esercizio è quindi una manovra fatta apparentemente coi
piedi - in realtà con i muscoli delle gambe e del bacino - e rivolta ad
aumentare la flessibilità della colonna vertebrale. Il comportamento dei
muscoli addominali descritto spiega perché non sia il caso di occuparsi della
respirazione dato che le manovre dei piedi inducono automaticamente la giusta
sincronia delle fasi respiratorie col movimento dei piedi.
[5] A questo proposito mi permetto
di suggerire la lettura della tesi di diploma di una mia allieva all'I.S.E.F.
di Torino, Adelina Bottero, svolta in Antropologia ed antropometria nell'anno
accademico 1980/81: La rieducazione della voce attraverso la ginnastica
respiratoria.
La tesi, per quanto datatissima, conserva tutta la sua attualità. L'indirizzo
Internet è: http://www.maurouberti.it/vocalita/bottero/bottero.html
[6] Una descrizione
sufficientemente ampia della patologia, sia pure a livello divulgativo, è
disponibile su Internet alla versione italiana di Wikipedia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Amusia
[7] Chi fosse interessato
all'applicazione della ginnastica respiratoria in Conservatorio può leggere la
relazione di Angelo Morandi al convegno Foniatria e Canto del 4-5 ottobre 1985
a Salsomaggiore Terme all'indirizzo http://www.maurouberti.it/vocalita/morandi/morandi1.html