Ci proponiamo in questo articolo di esaminare come i trattati di canto del periodo 1750-1850 affrontino la questione del timbro vocale, intendendo questo termine nella sua accezione più ampia: ogni modificazione del suono laringeo ad opera delle cavità del tubo fonatorio. (1)
Esistono diverse tipologie di trattati di canto; dal trattato breve per principianti e dilettanti (che è più un trattato di teoria musicale e solfeggio o di introduzione alla musica che un trattato di canto) al trattato "monumentale", altamente specializzato (come quelli nati nel contesto del Conservatorio di Parigi), e tutta una serie di tipologie intermedie che cercano di soddisfare le esigenze del pubblico al quale sono rivolti. (2)
Mentre si può affermare che praticamente tutti questi trattati si occupano, con maggiore o minore profondità, dell'ornamentazione (abbellimenti, passaggi, cadenze), della quantità (rapporto tra sillabe lunghe e brevi e tempi forti e deboli) e dell'intensità del suono vocale, l'interesse per il timbro è meno costante.
I trattati di Denis (1760 ca.), Duval (1775) e Durieu (1795), ad esempio, tacciono del tutto a questo riguardo. Altri si limitano a mettere in rilievo la necessità di ottenere un timbro vocale "corretto" - idealmente bello - e si interessano dei timbri difettosi soltanto per insegnare il modo di correggeli. Il timbro senza difetti in generale è strettamente correlato ad una pronuncia chiara ed intelligibile del testo; la declamazione espressiva del testo convoglierà le passioni, senza che si avverta il bisogno di ricorrere a tecniche vocali specifiche.
Nella letteratura dei precedenti secoli le indicazioni relative ad un uso delle vocali nel canto diverso da quello del linguaggio parlato riguardano la proibizione di collocare passaggi sulle vocali I e U, e questa prescrizione si ritrova pressoché in tutti gli autori. (3) E' importante sottolineare tuttavia che non esistono fonemi banditi dal canto, perché è comunque sempre richiesta una pronuncia chiara ed intelligibile del testo poetico; il divieto si riferisce dunque solo alle ornamentazioni. Per tutti i problemi di pronuncia restano in vigore nel canto le regole della declamazione; ciò viene anche confermato dagli stessi trattatisti: il modello del cantante è l'oratore.
Nel periodo in esame, diversi autori sottolineano le qualità specifiche delle vocali nel canto. Esse sono ritenute i fonemi più idonei al canto, perché «Nella corretta articolazione delle vocali il respiro ed il suono sono rilasciati liberamente dai polmoni e dal petto, senza alcuna interruzione della gola, lingua, naso e labbra» (4) (Bayly, 1771, p. 3). Lo stesso concetto formulato diversamente si ritrova in Hiller (1774), che insiste sull'importanza di mantenere la lingua bassa e piatta, ciò che è possibile solo nella pronuncia delle vocali (p. 16). Altri autori alludono ad implicazioni più profonde del suono vocalico: «le vocali rendono i suoni estremamente semplici [...]: possono essere considerate come l'espressione della Natura, poiché sono comuni a tutte le lingue»; «Poiché le vocali sono per tutte le lingue una fonte di armonia, non le si fa mai sentire abbastanza nella pronuncia» (Berard, 1755, pp. 84, 103). E ancora: «L'origine della Musica è antichissima, sendo la vocale (ch'è più dispotica, e domina di più gli affetti ed il cuore umano, come quella che più si avvicina all'originale, cioè segue immediatamente la natura) sicuramente coetanea al mondo» (Mancini, 1778, p.2)
Tra le vocali, una marcata preferenza è accordata alla A, affiancata da E ed O aperte. Per Johann Friedrich Agricola (1757, p. 49) si canta di preferenza su vocali chiare, A, E aperta ed O aperta, in quanto per essa la cavità orale è libera ed assume la maggiore ampiezza. Così anche per Bayly (1771, pp. 33-34, 36); Hiller (1774, pp. 6, 16; 1780, p. 134); Mancini (1778, p. 214); Tomeoni (1899, pp. 44, 82); Metodo del Conservatorio di Parigi (1825, pp. 7, 63); Lablache, s.d., pp. 9, 95). (5)
Questa indicazione assume in genere due aspetti. Da un lato, si prescrive che l'allievo si eserciti inizialmente e prevalentemente su queste vocali, dall'altro, vengono interdetti i passaggi sulle altre vocali, in particolare su I ed U: «Disapproviamo assolutamente l'uso di valersi di ogni altra vocale, particolarmente dell'I e dell'U, perchè l'articolazione di esse è contraria affatto alla posizione che deve avere la bocca. Questa proibizione non è fondata soltanto sulla qualità difettosa che queste vocali danno alla voce, ma altresi sopra l'effetto disaggradevole e monotono che producono queste vocali protratte al di là di quattro note» (Metodo del Conservatorio di Parigi, 1825, p. 9, nota 5).
La preferenza per le vocali chiare è indice della tendenza all'anteriorizzazione della pronuncia per garantire la più completa intelligibilità del testo poetico. (6) Aprile (1795) prescrive: «Vocalizzare correttamente, cioè emettere la vocale con un timbro chiaro ed aperto, quanto può essere consentito dalla lingua, nella quale canta l'allievo». Da questo momento in poi troveremo sovente nei trattati che non si parla più soltanto delle vocali come entità in qualche modo fisse, ma si parla del timbro (chiaro, oscuro) come qualità o sfumatura che ogni vocale può assumere. Nei trattati ottocenteschi vengono infatti indicate le modificazioni o varianti delle vocali più consone alla voce cantata: «L'arte ha supplito neutralizzando l'I coll'E stretta» (Conservatorio Parigi, 1825, p. 63); «deesi procurare di dar ad ogni vocale il suono che le è proprio, senza però spingerlo all'esagerazione nella pronunzia dell'I e dell'U, le quali per meglio contribuire all'emissione della voce, debbonsi proferire il men possibilmente chiuse» (Lablache, s.d., p.95); «Il timbro dipenderà dalla vocale, sta al maetsro scegliere quella adatta all'allievo. Dovendo il suono essere pieno e timbrato, devono in generale venire adottate di preferenza le vocali aperte e leggermente arrotondate», «Vinte le prime difficoltà, ci si eserciterà sulle sette vocali italiane a,e,é,i,o,ó,u, e di preferenza sulle vocali a,e,é,o,ó» e «il cantante, mediante un abile gioco degli organi della fonazione, deve insensibilmente modificare la vocale. Egli deve arrotondarla moderatamente e per successive sfumature nei suoni alti. Ugualmente per i suoni bassi egli la schiarirà, in modo che l'eguaglianza apparente della voce sia il prodotto di una reale ineguaglianza, ma ben gestita, della vocale. Questo procedimento, applicato alle diverse vocali, ci fornisce il seguente quadro: L'A s'avvicina all'O aperta; L'E aperta si avvicina all'É poi all'EU; L'I si avvicina all'U, senza l'aiuto delle labbra;, l'O s'avvicina all OU» (7) (García, 1847, I, p. 20, II, p. 2)
Al timbro gli autori si riferiscono direttamente quando descrivono i difetti della voce, che sono principalmente due: il difetto di naso ed il difetto di gola. Secondo Agricola (1757, p.49) entrambi sono prodotti dall'insufficiente appiattimento della lingua; secondo Bayly (1771, p.16) il difetto di naso è dovuto all'innalzamento della parte posteriore della lingua, quello di gola alla contrazione della faringe. Mancini (1778) attribuisce la voce di gola a diverse cause: una «smoderata apertura di bocca» produce una voce «affogata, cruda e pesante»; l'innalzamento della lingua conferisce alla voce «un non so che di sepolcrale e spento»; al medesimo difetto attribuisce il «vizio del naso» (pp. 108-109); infine afferma: «Ciò che chiamasi difetto di gola, o sia di voce cruda ed affogata, perché il cantante non cava, nè sostiene con la forza naturale del petto la voce, ma crede ottenerne il buon effetto col solo stringere le fauci» (p. 114). Secondo Aprile (1795) la causa di questi difetti risiede nell'insufficiente sviluppo e unione dei registri. Il Metodo del Conservatorio di Parigi (1825) è dell'opinione che «se l'emissione del suono non si fa con prontezza, esso diventa gutturale, se troppo spinto verso la testa, diventa nasale» (p. 3). Concorda con Bayly Lablache per quanto si riferisce al difetto di naso, quello di gola sarebbe derivato «dallo spingersi il respiro nelle pareti nasali.» (s.d., p.9). Schubert (1804, pp. 15-16) crede che il difetto di naso derivi dallo stringimento dei denti; altri autori trattano tale difetto a parte e sostengono che l'eccessivo accostamento dei denti impedisce la corretta emissione del suono e l'articolazione delle sillabe. (Bayly, 1771, p.17; Hiller, 1774, p.6; Mancini, 1778, p.110).
Vengono da altri autori segnalati altri timbri difettosi: i suoni aspri e quelli rauchi (Berard, 1755, pp. 39, 40); «Alcuni sono come il belato di una pecora, o il grido di un corvo, altri assomigliano al gracidio della rana e allo schiamazzo di un anatra» (Bayly, 1771, p. 16-17); il suono «spesso stridente o stridulo della voce di falsetto di uomini adulti» (Hiller, 1774, p. 6); «Taluno dalla natura ebbe una voce gagliarda, cruda, e stridente; quello una voce limitata, e debole» (Mancini, 1778, p. 121).
L'unico timbro difettoso che viene in certo senso ed entro certi limiti "legittimato" da Mancini è quello delle voci velate o appannate, che «per l'affinità che hanno col solito modo d'esprimere certi sentimenti, piacciono, ed afferrano soavemente il cuore umano pel mirabile loro impasto, mai crudo, o stridente», tuttavia solo nelle voci di soprano e contralto, «e non mai in un Tenore, o Basso; poichè queste due ultime voci naturali, come sostegno e base dell'armonia, devono esser sonore, robuste e virili» (1778, p. 66).
I "difetti di naso e di gola" vengono attribuiti dai diversi autori a diversi aspetti di una fonazione considerata imperfetta, confermando la relativa ambiguità di tale terminologia. In questo senso ci sembra che le definizioni di Garçía (1847) possano costituire, per noi, un più chiaro riferimento:
a) timbro gutturale: prodotto dal rigonfiamento della base della lingua, che respinge l'epiglottide sopra la colonna d'aria; la voce sembra schiacciata;
b) timbro nasale: si produce quando la voce risuona direttamente nelle fosse nasali, e la colonna d'aria vi si dirige prima di attraversare la bocca;
c) timbro rauco: si produce quando, nel momento in cui il velo palatino è alzato, si aumenta lo scostamento dei pilastri, e peggiora se si innalza la punta della lingua, o si avvicinano le labbra. Anche un dispendio eccesivo d'aria può rendere rauca la voce, a causa del rumore prodotto dallo sfregamento dell'aria contro le pareti del tubo vocale (suoni soffocati) (pp. 15-16)
La comprensione del testo poetico è oggetto di particolare attenzione. Lacassagne afferma: «Il canto non è altro che una declamazione melodiosa abbellita dall'armonia» (1766, p. 156).
Soprattutto in ambito francese viene sottolineata la differenza tra articolazione e pronuncia. Riportiamo le definizioni del Metodo del Conservatorio di Parigi, che ricalcano quelle dei trattati più antichi: «La pronunzia consiste nel dare ad ogni sillaba, e ad ogni lettera sia vocale, sia consonante quel suono che è proprio della lingua in cui si canta. L'articolazione è la maniera di far sentire le consonanti, come quelle che distinguono principalmente le sillabe tra loro, col grado di forza conveniente al sentimento che si esprime e al luogo dove si canta» (1825, p. 61). (8) Le consonanti «contribuiscono assai alla chiarezza del discorso, anzi ne costituiscono la causa e la ragione» (Agricola, 1757, p. 137). La «pronunzia esatta, chiara, e perfetta delle parole» (Mancini, 1778, p. 219) è requisito indispensabile, perché «l'ascoltatore non vuol solo sentire suoni, egli vuole ascoltare il testo, sostenuto ed abbellito dalla musica, animato dai suoni e dalla loro espressione (Schubert, 1804, p. 10). A questo scopo occorre articolare le sillabe «con forza e talvolta con energia» (Tomeoni, 1799, p. 47). (9)
Diversi autori definiscono nei dettagli, dal punto di vista articolatorio, vocali e consonanti, dedicando ampio spazio anche agli errori di pronuncia (di origine dialettale o di errato apprendimento). Tra questi, Berard (1755, p. 55-63), Bayly (1771, p.3-10), Hiller (1774, p. 18-23), Tomeoni (1799, pp. 43-47), Schubert (1804, p. 11), Metodo del Conservatorio di Parigi (1825, pp. 61-62). Ogni autore tiene conto delle vocali e consonanti della propria lingua, spesso raffrontandole con quelle di altre lingue, in particolare l'italiano.
Nella tradizione dei trattati di recitazione, ed anche nella trattatistica di canto che più strettamente a questa si collega, l'interesse si concentra sul rapporto tra un personaggio determinato ed il timbro vocale che meglio lo rappresenta in rapporto al sesso, all'età, allo status sociale, al carattere. Ci riferiremo in questo senso agli aspetti fisiognomici del timbro.
In tema di classificazione delle voci, alcuni autori si lasciano sfuggire indicazioni sul timbro peculiare di certe voci, che riflettono anche tendenze del gusto corrente. Così Bayly: «Le voci migliori per parlare in pubblico sono quelle di tenore e tenore-basso, (10) essendo il controtenore alquanto stridente, ed il basso troppo profondo eccettuate le parti sentenziose e solenni» (1771, p. 16); Tomeoni afferma che le voci di contralto e mezzosoprano «sono assai stimate e molto ricercate in Italia» a causa della «loro rassomiglianza con i suoni del violoncello, che è lo strumento musicale più commovente e più adatto ad esprimere i sentimenti teneri e dolci»; invece «la voce di baritono è normalmente un poco velata e senza un timbro deciso, assai poco estesa e monotona», nella voce di contro-tenore «gli acuti sono sempre più o meno nasali» (1799, pp. 51-52, 55-57). Molto probabilmente questi caratteri timbrici si riflettono talvolta nei ruoli che i diversi cantanti sono chiamati ad impersonare nel melodramma.
Con maggiore evidenza si esprimono gli autori di trattati di recitazione e declamazione: «Ogni carattere ha una voce particolare; e questo è uno de' più sicuri mezzi per iscolpirlo all'ultima perfezione. La timidezza da una voce debole, e interrotta, la sciocca prosunzione di sè, ha un tuono, che signoreggia, e con una sicurezza scoccato, che fa dispetto, l'uomo grossolano ha piena voce, e articolazione grassa, e pesante, l'avaro, che passa la notte noverando i suoi danari, avrà la voce rauca» (Riccoboni, 1762, p. 44-46).
Il trattato di Freyherrn von Seckendorff (1816) , particolarmente ricco e degno d'attenzione, sebbene direttamente impegnato con la declamazione, premette che «il suono cantato è un rinforzamento del suono parlato»; ne segue che canto e declamazione «sono sottoposti alle medesime leggi» (p. 55). Denomina "registri vocali" le modificazioni di forma e dimensioni che l'apparato vocale può assumere e che conferiscono alla voce diversi caratteri: è chiaro che si riferisce al timbro vocale, e non ai registri nel senso usato dalla tecnica vocale (p. 60). (11) Successivamente classifica, sulla base di caratteristiche comuni, i "registri vocali" in otto categorie fondamentali (p. 292):
a) in base al sesso: diverso carattere timbrico della voce maschile e femminile, in particolare utile per gli attori en travesti; in questo caso la differenza principale non risiede soltanto secondo l'autore nell'altezza delle frequenze medie, ma nel fatto che la voce maschile possiede un metallo pieno e viene emessa «parlando nella parte anteriore della bocca», mentre la voce femminile possiede un metallo più tenero e si produce «nella parte mediana della bocca» (p. 289-294); (12)
b) in base all'età, distingue in base al timbro infanzia, giovinezza, età matura e vecchiaia (p. 298-299);
c) le voci dell'aldilà: spettri, fantasmi (p. 299-300);
d) le caratteristiche timbriche del comico (13) (p. 301-302);
e) le caratteristiche timbriche dell'ingenuo (p. 302-303);
f) i caratteri dominati dalla ragione: il narratore e il riflessivo (p. 303);
g) il carattere patetico o appassionato (p. 303-304);
h) il carattere elegiaco (p. 305).
Queste categorie, composte nella dovuta proporzione, servono secondo l'autore a rappresentare qualsivoglia personaggio o carattere.
Alla rappresentazione delle emozioni attraverso il timbro la maggior parte degli autori allude senza approfondire; al contrario, molti si dilungano nella disamina dei rapporti tra l'uso delle ornamentazione e gli affetti, dei rapporti tra la dinamica e le passioni, e ancora del rapporto tra l'andamento prosodico (accenti, durata relativa di sillabe lunghe e brevi, velocità dell'eloquio) ed i contenuti emotivi del testo.
Dice Agricola (1757): «Poiché la natura insegna ad ogni persona attenta che i diversi affetti richiedono un diverso suono della voce, e poiché gli svariati innalzamenti ed abbassamenti della voce sono prescritti dal compositore mediante le note, al cantante non rimane altra libertà che quella di esprimere l'affetto attraverso i diversi suoni della sua voce, associati alla mimica. Ritengo dunque inutile dilungarmi a descrivere nei dettagli come produrre suoni violenti, interrotti, maestosi, opachi, ecc. Tuttavia è estremamente necessario che il cantante possa apprendere dall'arte oratoria che tipo di suono vocale sia necessario all'espressione di ogni affetto o di ogni figura retorica attraverso la diretta istruzione di buoni oratori o la loro osservazione attenta» (p. 138).
Schuback (1775) ritiene che gli strumenti musicali possano esprimere «la cosidetta pittura musicale», cioè «la rappresentazione di un oggetto percepibile con i sensi», come ad esempio «il tuono, la tempesta e il temporale, lo sfracellamento e sconvolgimento, o la serena calma, il sogno ed il sonno», mentre la rappresentazione delle passioni e del moti dell'animo sono esclusivo compito del cantante (pp. 37-38).
Avverte Mancini: «Attenti pure al discorso d'un buon Oratore, e sentirete quante pose, quante varietà di voci, quante diverse forze adopra per esprimere i suoi sensi; ora innalza la voce, or l'abbassa, or l'affretta, or l'incrudisce, ed or la fa dolce, secondo le diverse passioni, che intende muovere nell'uditore» (1778, p. 220).
Gli autori, in mancanza di una teorizzazione e delle conseguenti prescrizioni pedagogiche, rimandano, per una efficace rappresentazione dei sentimenti, all'attenta osservazione della natura, della recitazioni di bravi attori o cantanti, al «senso comune», (14) al gusto (15) e, soprattutto, ad una disposizione "innata" del cantante: «L'espressione nel Canto è un dono di natura che l'arte invano cercherebbe d'imitare: si può definirla e dirigerla, ma non insegnarla» (Conservatorio Parigi, 1825, p. 75).
Alcuni trattatisti, specie ottocenteschi, associano determinate passioni o insiemi coerenti di sentimenti ai generi della musica vocale. Ad esempio il Metodo del Conservatorio di Parigi (pp. 69-74) distingue il cantabile, l'andante, l'allegro, l'agitato, le arie parlate, il rondò, le arie a due tempi. Classificazioni simili si trovano in Tomeoni (1799, p. 68), García (1847, pp. 62-70). Per questi generi vengono prescritti le modalità di ornamentazione ed il carattere generale della voce adatta ad eseguirli.
Alcuni trattati (Berard, Seckendorff, García) ricercano invece espressamente una corrispondenza tra i caratteri acustici del timbro e le passioni da rappresentare, spingendosi oltre gli aspetti fisiognomici e organizzando un codice timbrico espressivo della voce cantata diverso da quello della voce che parla, declama o recita. Tale codice stabilisce un rapporto tra determinati timbri e determinati oggetti da rappresentare. Gli oggetti da rappresentare possono essere oggetti del mondo esterno: il suono adotterà per descriverli alterazioni in grado di riprodurre, per onomatopea o per sinestesia, caratteristiche peculiari a tali oggetti. Tuttavia il fenomeno forse più cospicuo e nuovo nel passaggio tra il XVIII e XIX secolo è la ricerca della rappresentazione, attraverso il timbro, degli oggetti del mondo interno: i sentimenti, le passioni.
I riferimenti ad un uso specifico e "artistico" del timbro vocale nella letteratura precedente al periodo in esame non assumono, a nostro avviso, il rilievo che avranno in seguito, certamente non a causa di una mancanza di attenzione verso questo parametro del suono, ma piuttosto perché tacitamente si rimanda al codice espressivo della declamazione. Tra il 1750 e il 1850, la maggior parte degli autori mette in evidenza, come abbiamo visto, l'esistenza di diversi tipi di voce aventi, oltre ad una diversa estensione, diverso carattere timbrico; mette anche in evidenza una preferenza per determinate vocali, ma non sente la necessità di disciplinare l'uso espressivo del timbro nella specificità della voce cantata perché è sufficiente riferirsi alla tradizione dell'arte dell'eloquenza, per gli aspetti connessi alla actio o pronuntiatio (momento esecutivo o performance). Per questi autori, la variazione timbrica non è elemento peculiare del linguaggio del canto, ma appartiene al dominio della declamazione: nella tradizione scritta almeno, essi non riconoscono l'esistenza di un codice timbrico specifico della voce cantata (che potrebbe tuttavia esistere come appannaggio esclusivo della tradizione orale).
La rappresentazione delle passioni si fonda necessariamente su aspetti psicologici "universali" e profondi. Nel 1762, Riccoboni asserisce: «Que' moti, che nascono dall'anima con grandissima prestezza senza l'ajuto della riflessione; e che fin dal primo momento, nostro malgrado c'investono di sè, sono que' soli, a cui si dovrebbe dare il nome di sentimenti. Due ve n'ha, che si possono chiamare i Sovrani, e origini di tutti gli altri, e sono l'amore, e la collora» É dunque possibile «ordinare tutti i sentimenti in due classi. Gli uni sono teneri gli altri gagliardi. I primi ricevono il carattere principale dall'amore, i secondi sono dal più al meno dalla collora accompagnati» (pp. 34-35). (16)
Già nelle definizioni del canto e della musica Jean-Antoine Berard (1755) preannuncia il suo intenso interesse per il timbro vocale. Il canto «è un tipo di modificazione della voce, attraverso il quale si formano suoni vari e piacevoli» (p. 11); «Cicerone dice che la musica si propone di dipingere le passioni del cuore umano ed i movimenti che hanno luogo nel mondo fisico». E prosegue: «Secondo l'osservazione di Cicerone ho individuato i suoni a carattere, intendendo tutti i suoni marcati dall'impronta della passione: possono essere considerati tali quelli dei quali darò l'origine: metterò nella prima classe quelli che sono in relazione con le grandi passioni e con i movimenti violenti: collocherò nella seconda quelli che sono in relazione con le passioni tranquille ed i movimenti modesti e graziosi» (pp. 26-27). Per conferire carattere ai suoni della voce, Berard individua (a prescindere dai parametri che anche gli altri autori approfondiscono: ornamentazioni, dinamica, ecc.) due modalità. La prima dipende dalla forza e dalle caratteristiche dell'espirazione; i suoni violenti saranno prodotti da una rapida fuoriuscita dell'aria dalla glottide, i suoni interrotti da un'espirazione interrotta; per produrre suoni maestosi «occorre che l'aria esca con un certa rapidità che aumenta successivamente», i suoni soffocati vengono trattenuti dalla bocca e così vengono ammortizzati ed oscurati, i suoni leggeri si ottengono con un'espirazione graduale e dolce, i suoni teneri con un'espirazione lenta e languida, ed i suoni manierati espirando con estrema dolcezza (pp. 28-32).
La seconda modalità viene così definita dall'autore: «Aretino, monaco ferrarese, è celebre per avere diviso il canto in tre specie, canto duro, canto dolce e canto naturale, che partecipa dei due primi: io oso aggiungere due nuove specie, il canto oscuro ed il canto chiaro». A movimenti forti corrisponde una pronuncia dura, a movimenti deboli una pronuncia dolce, quella naturale corrisponde ad un grado intermedio di pronuncia (p. 65). «L'aria che i movimenti degli organi fa vibrare può essere più o meno trattenuta dalla bocca, e la pronuncia sarà più o meno oscura: si può lasciare uscire più o meno liberamente quella stessa aria, e dispiegare più o meno il gioco degli organi, e la pronuncia sarà più o meno chiara» (p. 66).
«Le diverse pronuncie sono assai adatte ad esprimere vivamente certi rumori, o certe passioni che si propongono di imitare [...] esse sono nel canto quello che i colori sono nella pittura: esse sono la fonte di un'infinità di piaceri che hanno le loro radici nell'imitazione della natura» (pp. 76-77). Il carattere delle parole è determinato dagli oggetti che esse rappresentano. Le parole «possono essere segni di oggetti seri, terribili o tristi, d'oggetti frivoli, amabili, gai o indifferenti, di oggetti che diventano, ad esempio, più tristi o più allegri per gradi». Il carattere delle parole determinerà la qualità della pronuncia (p. 68).
«Si deve imprimere un carattere di durezza ed oscurità alla pronuncia tutte le volte che le parole esprimono passioni terribili». Nel patetico larmoyant la pronuncia deve essere estermamente oscura, «vale a dire soffocata». «Le parole destinate a rappresentare suoni graziosi, come il mormorio di un ruscello, o il canto degli uccelli, ecc. devono essere pronunciate in modo dolce e chiaro»; sarà anche dolce e chiara la pronuncia delle «parole che esprimono passioni tranquille, tenere ed amabili». Le parole senza carattere marcato, «che significano cose indifferenti, esigono una pronuncia naturale». Quando le parole rappresentano i diversi gradi di accrescimento di una passione, la pronuncia deve diventare più dura, o più dolce, più oscura, o più chiara per gradi: quando esse esprimono il passaggio da una passione ad un'altra opposta, come dalla tristezza alla gioia, una pronuncia dolce e chiara deve seguire una pronuncia dura ed oscura: quando le parole dipingono il passaggio da una passione ad un'altra passione analoga, per esempio, dall'amicizia all'amore, si deve addolcire e schiarire per gradi insensibili la pronuncia; quando esse rappresentano una passione che ha l'aspetto di un altra passione come la speranza inquieta, deve regnare nella pronuncia una certa miscela di durezza e di dolcezza, d'oscurità e di chiarezza» (pp. 70-75)
Nelle passioni violente regna un turbamento estremo ed una grande agitazione negli organi, le lettere [consonanti] saranno di conseguenza raddoppiate fortemente, mentre nelle passioni tranquille è scarso il turbamento degli organi, allora le lettere saranno raddoppiate debolmente. Berard propone la regola: «si devono raddoppiare le lettere in tutti i luoghi marcati dall'impronta della passione» (pp. 94-95)
Freyherrn von Seckendorff (1816), già citato riguardo alla rappresentazione del carattere attraverso il timbro, effettua un analogo tentativo riguardo al rapporto tra voce e atteggiamento mentale. Lo studio di tali atteggiamenti fornisce un ritratto ricco e variegato di ognuno, con sottili osservazioni sulla natura umana e sulla vocalità. Ci limitiamo a fornire un breve elenco, perché una trattazione più approfondita esula dai limiti del presente lavoro. Il timbro vocale è solo uno dei parametri e talvolta non viene preso in considerazione, ma questo testo resta, a nostro avviso, un'importante testimonianza dell'interesse che in questo periodo si manifesta verso le possibilità comunicative ed espressive dei tratti paralinguistici vocali (prosodici e timbrici). Gli atteggiamenti sono: 1) la stupidità, 2) l'intelligenza e l'arguzia, 3) lo stato di verità e lo stato di menzogna, 4) lo stato ed i sentimenti affermativi o positivi e quelli di negazione o negativi, 5) lo stato "sensibile" (le reazioni fisiologiche) in senso lato (freddo, fame, sonnolenza, riso, pianto), 6) la timidezza, il timore, la paura, il coraggio, la temerarietà, 7) lo stato di sonno o sogno, 8) l'affettazione (pp. 335-341)
Anche Manuel García (1847) (17) conferisce nella sua trattazione grande rilievo alle potenzialità espressive del timbro vocale: «la stessa persona, pronunciando la stessa parola, dà alle vocali che vi si trovano una sonorità ed un valore che non sono sempre identici. Appena una qualunque passione anima colui che parla, le vocali subiscono l'influenza involontaria di questa emozione e colpiscono il nostro orecchio per la loro sfumatura più chiara o più coperta, per il loro timbro più brillante o più oscuro» (II, p. 2). «É sufficiente fare qualche prova per assicurarsi che ogni passione, per leggera che ne sia la sfumatura, intacca a modo suo l'organo vocale e ne modifica la capacità, la forma, la rigidità, in una parola, tutte le condizioni fisiche. L'organo allora è uno stampo che si trasforma incessantemente sotto l'azione delle diverse passioni, e comunica la loro impronta ai suoni che lascia sfuggire. Grazie alla sua ammirevole morbidezza, questo organo contribuisce inoltre, fino a un certo punto, alla descrizione degli oggetti esterni, come si può osservare perfino nella semplice conversazione. Se si tratta, per esempio, di rappresentare un oggetto cavo, esteso o sottile, l'organo produce, per un movimento mimico, dei suoni cavi, estesi o sottili» (II, p. 54).
Il timbro, secondo García, può essere variato attraverso due meccanismi tra loro indipendenti:
1) I suoni senza smalto, usati in giusta misura e nel timbro conveniente, devono servire ad esprimere i sentimenti che portano il turbamento nell'animo e determinano l'indebolimento degli organi della voce. Questi sentimenti sono la tenerezza, la timidezza, il timore, l'imbarazzo, il terrore, ecc. Al contrario, i suoni che hanno tutto il loro smalto servono ad esprimere i sentimenti che eccitano l'energia degli organi, la viva gioia, la collera, il furore, l'orgoglio, ecc. (II, p. 58).
Il meccanismo che consente la produzione di suoni più o meno brillanti viene così descritto: «le labbra della glottide (18) possono vibrare ugualmente, tanto se le estremità posteriori sono messe in contatto [...], quanto se queste medesime estremità restano separate. Nel primo caso, i suoni hanno tutta la brillantezza possibile; nel secondo caso, la voce acquista un carattere sordo» (II, p. 54)
2) Le due serie di timbri opposti seguono un andamento parallelo a quello delle passioni. I timbri partono da un punto intermedio, dove si situa l'espressione dei sentimenti dolci, poi essi si allontanano in senso inverso. I timbri arrivano alla loro estrema esagerazione quando le stesse passioni hanno raggiunto l'estremo limite; le passioni gaie o terribili che prorompono con violenza prendono i timbri aperti. I sentimenti seri, elevati o concentrati, prendono i timbri coperti (II, p. 58).
Per "timbri opposti" l'autore intende i timbri chiaro ed oscuro: «I timbri possono essere divisi in due classi, il timbro chiaro o aperto e quello oscuro o chiuso. Queste due opposte qualità vengono ottenute principalmente attraverso l'azione della laringe e del palato molle. I movimenti di questi due organi avvengono sempre in direzione opposta. La laringe si alza quando il palato molle si abbassa, e quando la laringe si abbassa, il palato molle si alza. La volta alta produce i timbri oscuri, l'arco abbassato quelli chiari» (Hints on Singing, p. 11). (19) A, E aperta ed O aperta sono modificazioni del timbro chiaro, U del timbro oscuro.
La variazione del timbro esprime un movimento emotivo: «I timbri [..] rivelano il sentimento intimo che le parole non sempre esprimono a sufficienza, e che talvolta esse tendono a contraddire. I brani che affettano l'indecisione, l'inquietudine del pensiero, l'ironia, il dolore mal trattenuto, comportano solo la mescolanza e l'instabilità dei timbri; inoltre bisogna esprimere ognuno di questi sentimenti attraverso la specie di disordine che gli è propria; ovunque l'idea è precisa, il timbro conserva la sua unità (II, p. 54)
L'autore illustra le applicazioni dei timbri iniziando da quelli oscuri o coperti:
Timbro moderatamente coperto, né opaco né metallico:«I sentimenti dolci e languidi al contempo, o ancor di più i sentimenti energici, ma concentrati, non oltrepasseranno affatto la serie dei timbri coperti. Per esempio: nella preghiera, la timidezza, la commozione, la voce deve essere toccante e leggermente coperta. Talvolta, nella tenerezza vi si mescola il rumore del fiato».
Timbro oscuro e metallico: «L'indignazione, l'imprecazione, la minaccia, l'ordine severo, arrotondano la voce e la rendono brusca, arrogante»; «L'esaltazione marziale o religiosa arrotonda la voce rendendola chiara e smagliante».
Timbro molto coperto e opaco: «La minaccia repressa, il dolore profondo e la disperazione concentrata prendono un timbro cavernoso». «Il terrore ed il mistero smorzano il suoni, e li rendono scuri e rauchi».
Timbro opaco, né chiaro né oscuro: «Nell'abbattimento che segue una forte commozione, la voce esce incolore, perché la respirazione non può essere trattenuta, e viene a mescolarsi ai suoni».
Prosegue quindi con i timbri chiari: «Questa prima serie di timbri forma contrasto con quella che producono i sentimenti gai, o ancor più i sentimenti terribili, ma che si lasciano andare liberamente.
Timbro moderatamente chiaro: «Il carattere dolce ed affettuoso che prende l'organo per esprimere l'amore s'impronta più del timbro chiaro che del timbro scuro».
Timbro chiaro e metallico: «Nella gioia, il timbro diventa vivo, brillante e agile». «La minaccia, il dolore, la disperazione che esplodono adottano il timbro aperto e straziato» Timbro esageratamente chiaro: «Nel riso, la voce è acuta e stridula, interrotta, convulsa». (II, pp. 55-57)
Abbiamo cercato di rendere conto dei diversi approcci che si ritrovano nella trattatistica sul canto tra '700 ed '800 nei confronti del timbro. Abbiamo visto come il concetto stesso di timbro si evolve rendendosi autonomo dalla vocale, e come una parte degli autori si concentri esclusivamente sulla definizione di un timbro "buono" - e di vocali "buone", atte cioè al canto, ma dei quali non viene esplicitata una valenza espressiva. Altri autori accennano alla possibilità di rappresentare un carattere, un personaggio attraverso i tratti timbrici vocali. Altri ancora stabiliscono un sistema di corrispondenze tra determinati timbri e determinate passioni o atteggiamenti emotivi.
Possiamo, per concludere, formulare brevemente alcune ipotesi. A partire dalla metà del XVIII secolo sembra emergere la necessità di disciplinare l'uso espressivo del timbro nella specificità della voce cantata. Le passioni e gli affetti, prima veicolati di preferenza attraverso un uso espressivo dell'ornamentazione e dell'agogica, sembrano avere ora bisogno di un nuovo parametro per potere essere comunicate appieno. Riteniamo anzi che nello spirito del tempo si manifesti un interesse inedito verso la comunicazione emotiva, portatrice di messaggi preverbali e gestuali. L'uso espressivo del timbro potrebbe essere la risposta a tale richiesta. Da qui la necessità, avvertita da alcuni autori, di organizzare un codice timbrico, perché, se nella comunicazione quotidiana il messaggio emotivo che affianca il messaggio verbale propriamente detto viene prodotto prevalentemente in modo inconscio o preconscio, nella comunicazione artistica (canto, recitazione) tale messaggio costituisce un atto volontario, uno scopo perseguito, sottoposto al controllo conscio e suscettibile di controllo in sede pedagogica.
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Reggio Emilia, 18 ottobre 1994
(1) Cfr. Oskar Schindler, Il materiale fonetico, Torino, Omega, 1973.
(2) Senza contare le numerosissime raccolte di solfeggi, talvolta intitolate "trattato" o "metodo", esclusivamente improntati alla prassi vocale e didattica.
(3) Maffei, 1562: «lo, u porta uno spaventevole tuono all'orecchia [...] lo, i, portando co'l passaggio, rappresenta un'animaletto che si vada lagnando [...] L'altre vocali che rimangono, si ponno senza scrupolo portare, pure fando fra loro comparatione, dico che l'o è la migliore, percioche con essa si rende la voce piu tonda»; Bovicelli, 1593: «molte volte le stesse sillabe aggiuntano a far un Passaggio l'una più dell'altra, come A. E. O. in rispetto de I. & U. quali due non sono cosi commode alla voce, come le prime, per la diversità del pronunciarle»; Tosi, 1723: «vocalizzare su le tre vocali aperte, massimamente sulla prima, ma non sempre sulla medesima [...] acciochè [...] non confonda l'una coll'altra, e possa accostarsi più facilmente all'uso della parola» (p. 46), «Che [il passo] non sia eseguito su la seconda, e quarta vocale quando vanno pronunciate strette, e molto meno sulla terza, e quinta» (p. 127).
(4) Le traduzioni sono dell'autore.
(5) Il trattato di Lablache, che qui citiamo da un'edizione più tarda non datata, risale al 1840.
(6) Ci sembra che anche la ricorrente prescrizione dell'atteggiare la bocca ad un "sorriso" confermi la tendenza all'anteriorizzazione della pronuncia e la preferenza per le vocali chiare. Per brevità citiamo pochi autori: «Ogni cantante deve situar la sua bocca, come suol situarla, quando naturalmente sorride, cioè in modo, che i denti di sopra siano perpendicolarmente, e mediocremente distaccati da quelli di sotto» (Mancini, 1778, p. 111); «La bocca dev'essere come sorridente e convenevolmente aperta, per quanto almeno lo comporterà la conformazione di quella del allievo, a fine di pronunziare senza alterazione la vocale sopra la quale si deve cantare la scala» (Conservatorio Parigi, 1825, p. 7). Ma il viso sorridente ha anche un altro fine, la captatio benevolentiae: «Siccome poi l'arte del canto è tutta consacrata al piacere, così deve tutto concorrere in chi canta, per soddisfar a tal fine. Dovrà egli presentarsi pertanto con volto ilare, e quasi ridente, onde conciliarsi l'amor degli astanti, e quindi trasformarsi a norma del sentimento» (Pellegrini Celoni, 1810, p. 2).
(7) É, EU, U ed OU corrispondono fonicamente alle rispettive vocali francesi.
(8) Citiamo dalla traduzione italiana più tarda, l'originale francese è dei primi anni dell'800.
(9) Molti autori specificano che l'articolazione dovrà essere adeguata al luogo in cui si canta: «In una stanza, in una sala d'accademia, o in un vasto teatro deve bensì la pronunzia essere sempre la stessa; ma varia l'articolazione, e deve aumentare di forza in ragione dell'estensione del locale, del numero degl'instrumenti, e di quello degli uditori» (Conservatorio Parigi, 1825, p. 61); «Il merito poi d'un'anche buona pronunzia scomparisce in bocca d'un cantante, se ad essa non si accoppia puranco quello d'una buona articolazione, la quale consiste nel dar più o meno forza alle consonanti. La graduazione da attribuirsi a cotal forza di articolazione dee subordinarsi al significato delle parole, alla situazione drammatica, al carattere del personaggio che si rappresenta, e su tutto alla dimensione del locale ove si canta, ed al numero degli ascoltatori (Lablache, s.d., p.95).
(10) N.d.T.: Baritono.
(11) La questione storica del rapporto tra registri e tecnica vocale è tanto complessa da richiedere una trattazione a parte. Ci limitiamo ad osservare che l'effetto acustico del passaggio da un registro all'altro si costituisce come differenza timbrica, e che le varie scuole perseguono l'unanime obiettivo dell'uguaglianza dei registri, vale a dire dell'abbattimento o della riduzione di tale differenza timbrica.
(12) Purtroppo non possiamo in questa sede dilungarci su questo trattato che riguarda solo un aspetto particolare del nostro assunto. Perciò accenniamo soltanto alle categorie seguenti.
(13) È, per intenderci, la comicità di una parte da caratterista.
(14) «notisi che il termine espressione, ha per me un significato assai vasto, e non si limita per conseguenza al solo stile melato, ed alli sospiri; Ma si bene all.analogia del sentimento, che vale a dire (per spiegarmi ancora più chiaro) al senso comune» (Pellegrini Celoni, 1810, p. 55).
(15) «Il vero gusto [...] consiste in una squisita osservanza delle convenienze, nell'attitudine d'investirsi del carattere del pezzo che si eseguisce e d'accrescerne l'energia con analoghi colori, e nel porre il proprio sentimento sì bene in rapporto con quello dell'Autore, da risultarne un Tutto così perfetto come se prodotto fosse da uno stesso pensiero. Quegli che possegga siffatta qualità saprà adattare il piccante ed il bizzarro a dei pezzi gai, l'eleganza a que' graziosi, il dolore a canti patetici, la grandezza ed il mistero a canti religiosi, il calore e l'impeto a pezzi esprimenti grandi passioni (Lablache, s.d., p. 90).
(16) Ivan Fonagy, nel 1983, ripropone lo stesso concetto individuando, su base freudiana e darwiniana, due pulsioni fondamentali: la tenerezza, legata al rapporto materno-filiale, e la collera, legata all'aggressione e alla lotta per la sopravvivenza (La vive voix. Essais de psycho-phonétique, Paris, Payot).
(17) Cfr. Giuliana Montanari-Cesare Secchi, "Le alterazioni espressive del timbro nel canto. Considerazioni sul Traité complet de l'Art du Chant di Manuel García", Il Verri, N. 1-2 (marzo-giugno) 1993.
(18) Corde vocali.
(19) Abbiamo preferito citare la definizione dei timbri chiaro e scuro da un'altro testo dello stesso Autore, perché più sintetica. Hints on Singing ( London, Aschenberg e Co., 1894) pubblicato circa cinquant'anni dopo il Traité, non contiene sostanziali novità rispetto ad esso, essendo poco più di un opuscolo illustrativo in lingua inglese, compilato nella forma di domande e risposte.