MAURO UBERTI

IL RECITATIVO MUSICALE
COME DOCUMENTO DELL'ACTIOTEATRALE

CAHIERS DE L'I.R.H.M.E.S.

3

A.D. LEGNANI, A. BEMBO ET LES PRINCES DE SAVOIE
NOTES ET DOCUMENTS SUR L'ECRITURE MUSICALE

sous la direction de Marie-Thérèse Bouquet-Boyer

Editions Slatkine
GENÈVE
1995

 

Il recupero in atto della prassi esecutiva della musica antica ha dimostrato come, almeno per quanto riguarda la parte strumentale, la lettura dei testi musicali dei secoli passati, rispettosa delle regole grammaticali e sintattiche originali, sia sufficiente a restituire piena godibilità a musiche che, quando vengono eseguite con i criteri usuali, fanno dubitare del «diletto» che avrebbero dato agli ascoltatori del loro tempo.
Per vari motivi la prassi esecutiva della musica vocale è invece ancora quasi tutta da ricuperare. La causa principale è che le documentazioni specifiche su questa prassi sono veramente poche; ma sarebbe ingiusto farne colpa ai trattatisti antichi in quanto la componente caratteristica della musica vocale è ovviamente la parola e persino oggi, pur in possesso come siamo di conoscenze fonetiche, non sarebbe facile tradurre in notazione i tratti verbali del canto.
L'analisi integrata delle componenti musicali e di quelle verbali della musica vocale - del recitativo in particolare - può invece dare indicazioni valide per la ricostruzione dell'espressione teatrale dei tempi passati; espressione che, fra l'altro, è legittimo considerare comune al teatro d'opera e a quello di prosa.
E' noto che, sullo scorcio del XVI secolo, quel gruppo di umanisti che solevano radunarsi nella camerata dei conti Bardi in Firenze, nell'intento di ridar vita moderna al teatro greco antico, riuscì invece ad inventare un genere musicale nuovo, cioè l'opera in musica, da recitar cantando e che i modi dell'espressione musicale impiegati in quest'intento vengono appunto chiamati recitativo.
Se si cantano i recitativi adottando gli stessi criteri d'interpretazione usati per quel genere di melodie che già allora venivano chiamate arie, l'impressione che si ricava è quella di un'estrema povertà melodica e riesce difficile capire, per esempio, come un compositore quale Giulio Caccini, che nello stesso identico periodo componeva melodie così ariose come la notissima Amarilli1, potesse rinunciare a questo splendido modo espressivo per sprecarsi in così sterili imprese; nel recitativo, infatti, la linea melodica si fa tendenzialmente monocorde, l'ampiezza della tessitura si restringe, il discorso musicale viene spezzato da pause frequenti, il basso si riduce a poche note tenute e così via. Le testimonianze dell'epoca sono però concordi nel documentare il gradimento e la commozione dei pubblici per queste rappresentazioni e, poiché, come già detto, l'esperienza d'oggi nella musica strumentale antica insegna che basta l'adozione di prassi esecutive corrette per ridare godibilità a musiche solitamente considerate noiose, l'ipotesi che anche il recitativo abbisogni di procedimenti analoghi si fa plausibile e stimolante.
Il recitativo, per quanto paia nascere formato e compiuto come Pallade armata dal capo di Giove, ha invece le sue radici nel madrigale che, soprattutto sullo scorcio del Cinquecento era diventato un'espressione molto realistica e drammatica. Lo studio dell'espressività madrigalistica potrà dunque probabilmente fornire - come infatti fornisce - chiavi d'interpretazione per quest'altro genere musicale.
Chi si occupa di prassi esecutiva della musica vocale conosce tutta una serie di documenti riferentisi alla seconda metà del XVI secolo - ormai ampiamente ripubblicati in edizione anastatica nonché fatti oggetto di studio dalla letteratura musicologica - il cui esempio migliore, che riassume tutti quegli altri che l'hanno preceduto e seguito, è costituito probabilmente da alcune righe de L'antica musica ridotta alla moderna prattica di Nicola Vicentino2 che, cinquant'anni prima del recitar cantando, si riferivano ovviamente al madrigale: «& s'avvertirà che nel concertare le cose volgari, a voler fare che gli oditori restino satisfatti, si dè cantare le parole conformi all'oppinione del Compositore; & con la voce esprimere quelle intonazioni accompagnate dalle parole con quelle passioni hora allegre, hora meste & quando soavi & quando crudeli, & con gli accenti adherire alla pronuntia delle parole & delle note; & qualche volta si usa un certo ordine di procedere, nelle compositioni, che non si può scrivere: come sono il dir piano & forte, & il dir presto & tardo, & secondo le parole muovere la misura per dimostrare gli effetti delle passioni delle parole & dell'armonia».
In realtà, con la sola scrittura musicale, di «quel certo ordine di procedere» viene indicato molto più di quanto non paia. Lo stesso Vicentino in un altro capitolo della stessa Antica musica - e si torna a ricordare che siamo nel 1555 - dava anche precise indicazioni sul Modo di pronuntiare le sillabe lunghe & brevi sotto le note; & come si dè imitare la natura di quelle, con altri ricordi utili: «Molti Compositori che nelle loro composizioni attendono à far un certo procedere di composizione à suo modo, senza considerare la natura delle parole, né i loro accenti, né quali sillabe siano lunghe né brevi, cosi nella lingua volgare come nella latina: & secondo l'uso & le regole de i Latini & de Toscani si dè osservare le pronuntie lunghe e brevi»3. Approfittando del fatto che nella stessa opera egli fornisce esempi dei diversi modi di comporre - diatonico, cromatico ed enarmonico - è possibile verificare l'applicazione pratica di queste regole che particolarmente c'interessano «nella lingua volgare» esaminando come esempio significativo il madrigale Soave e dolce ardore4.

Effettivamente i valori assegnati alle note rispettano fedelmente i valori quantitativi secondo il criterio ancora attuale, per il quale, in italiano, le vocali toniche sono sostanzialmente lunghe e tutte le altre brevi5. Tuttavia c'è una particolarità della quale l'autore non fa menzione: nelle voci di soprano, alto e basso, la nota che si trova in corrispondenza della sillaba tonica dell'aggettivo «soave» non soltanto è di valore - una semibreve - ma è anche puntata. Inoltre nella parte di tenore la sillaba tonica dell'aggettivo «dolce» sopporta una nota puntata - una minima - che costituisce l'inizio di un brevissimo melisma.
Per incontrare la dichiarazione esplicita dell'uso espressivo di questo tipo di figura musicale dovremo arrivare al 1601, quando Giulio Caccini trattando ne Le nuove musiche dell'esclamazione - detta oggi appoggiatura - farà riferimento implicito alla concitazione affettuosa, implicita nelle note puntate, considerando in modo evidente queste ultime come tratto di «affettuosità»: «le esclamazioni, in tutte le musiche affettuose per una regola generale si possono sempre usare in tutte le minime e semiminime col punto per discendere e saranno vie più affettuose per la nota seguente che non saranno nelle semibrevi, nelle quali avrà più luogo il crescere e scemare della voce senza usare le esclamazioni»6. Il Vicentino, che compone cinquant'anni prima, fa uso nella notazione di valori doppi rispetto a quelli usati dal Romano perché le convenzioni di scrittura del suo tempo sono diverse, ma la sostanza è la stessa: volendo sottolineare in modo affettuoso gli aggettivi «soave» e «dolce» egli fa uso di note puntate, che implicano il modo esecutivo indicato poi dal Caccini. Quello della nota puntata usata per dare alla sillaba che vi corrisponde il senso dell'esclamazione è un luogo comune in vigore ancora oggi; si veda per esempio in Tramontata è la luna di Goffredo Petrassi la semiminima col punto in corrispondenza dello stesso aggettivo «dolce», presente nel madrigale del Vicentino, in «dolce amaro indomabile serpente»7.

Nel 1585 Andrea Gabrieli musica i cori8 per l'Edipo Tiranno di Sofocle, che, nella versione di Orsatto Giustiniani, viene messo in scena per l'inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza. Questi cori sono di fatto dei recitativi ante litteram, a più voci, nei quali si possono già individuare i mezzi espressivi del recitativo monodico, mezzi che, a conti fatti, sono pochissimi:
- melodia della voce superiore che, a causa della rigorosa omofonia spicca nettamente sopra le altre costruita ad imitazione della melodia verbale di una recitazione molto espressiva;
- valori metrici non più corrispondenti alla quantità prosodica ma determinati invece da quel «dir presto & tardo» vigente nel movimento del tempo musicale almeno fin dai tempi del Vicentino;
- uso frequente della nota puntata per sottolineare con esclamazioni più o meno accentuate le immagini o gli affetti;
- pause frequenti, poste con criterio teatrale a dare gli stacchi fra un inciso e l'altro.
Nel breve esempio che viene proposto9 sono evidenti le esclamazioni (note puntate) sulle parole «seme» e «infausta» e le pause teatrali che mettono in evidenza l'iterazione di «Piacesse al Ciel».

Nell'anno di grazia 1600 i recitativi di Emilio de' Cavalieri10, Peri11 e Caccini12, a parte la novità dell'essere monodici, avranno in più, rispetto ai cori polifonici di Andrea Gabrieli, soltanto una maggiore mobilità.
Le attuali conoscenze acustiche ci consentono di considerare il rigo musicale come un diagramma a due dimensioni, nel quale sull'asse delle ascisse sono indicate in forma simbolica le durate dei suoni e su quello delle ordinate le loro altezze; ma se interpretiamo lo stesso pentagramma come un grafico fonologico della quantità e dell'intonazione, l'informazione che riusciamo ad ottenere sulle intenzioni espressive del compositore si fa molto maggiore in quanto dei quattro parametri del suono - frequenza, durata, intensità e timbro - i primi due risultano inequivocabilmente determinati. Intensità e timbro sono troppo finemente variabili perché possano essere messi in notazione, ma se il sistema di note e parole costituente lo spartito viene analizzato alla luce dell'esperienza verbale quotidiana, risulta agevole individuare i significati espressivi corrispondenti all'oppinione del Compositore in quanto le possibilità di dare senso compiuto all'espressione di una frase musicale vocale - della quale siano già determinate l'andamento melodico e la quantità sillabica - sono pressoché univoche.
Vediamo quale esempio le prime parole del famosissimo monologo del Tempo dalla Rappresentatione di Anima, et di Corpo13.

Il basso continuo dà l'intonazione sul tempo forte della battuta, ma soltanto dopo una lunga pausa teatrale - e si sottolinea il «teatrale» - il personaggio allegorico prende a parlare facendo pesare le parole ed iterando il concetto-immagine del Tempo. Il prolungamento della sillaba atona della parola «Tempo», seguito da un'altra pausa prima della ripetizione delle parole «Il Tempo», costituirebbe una patente infrazione alla regola dettata a suo tempo dal Vicentino; ma se invece si considera questo fatto come l'indicazione di un modo - magari da predicatore quaresimale - d'incatenare l'uditorio strascinando la parola e gonfiando il suono per interromperlo bruscamente (pausa di croma) e iterando poi con un'esclamazione (minima puntata) lo stesso concetto-immagine del tempo, valori e pause assumono un significato inequivocabile. Sarebbe infatti difficile trovare un diverso modo esecutivo, dotato a sua volta di significato rappresentativo.
Le note dedicate alla sillaba tonica della parola «fugge» sono un melisma costituito da una semiminima puntata ed una volatina di quattro velocissime biscrome, un topico, posto in tutti i tempi a rappresentare fughe di ogni genere. La sillaba atona si prolunga ancor di più e il discorso riprende: «la vita si distrugge», dove la «vita», sostantivo pregnante, è di nuovo fatta oggetto di esclamazione mentre il prolungamento della preposizione «di» su una nota puntata prepara l'immagine concitata della distruzione, espressa da una croma sulla sillaba atona cui seguono due minime (la seconda delle quali calcata espressivamente col prolungamento di un punto).
Sull'ultima sillaba di «distrugge» compare un nuovo segno: .S.. Emilio De' Cavalieri apre qui esplicitamente un orizzonte che, di solito, non viene nemmeno preso in considerazione, quello della gestualità: «Il segno .S. significa incoronata, la qual serve per pigliar fiato, & dar'un poco di tempo à fare qualche motivo»14 (dove «motivo»ha evidentemente il significato di: movimento del corpo, gesto, movenza e simili). Verosimilmente - i trattati di oratoria sacra coevi sono peraltro espliciti - l'espressività vocale barocca era sempre integrata da un gesto la cui ampiezza e varietà sono splendidamente descritte da Giovanni Bonifacio15.
La chiave di lettura generale che si può ricavare dalle analisi di questo tipo è estremamente semplice:
-la melodia - a contorno lineare, ascendente o discendente - corrisponde ad intonazioni di tipo teatrale od oratorio, di significato rappresentativo ben determinato;
- le parole considerate importanti dal compositore vengono fatte pesare allungando i valori, abbellendole con brevi melismi o esclamandole con note puntate;
- frequente e solo apparente eccezione è quella costituita dall'uso della nota puntata su sillabe atone o su parole monosillabiche prive di significato autonomo (articoli, congiunzioni, preposizioni, ecc.). In questi casi appare in modo sistematico ed evidente che il prolungamento della sillaba atona è inteso a dare concitazione alla parola seguente sottolineando a volta a volta il carattere anacrusico della prima sillaba, se atona, o quello tetico se la stessa prima sillaba è invece tonica;
- le parole o le sillabe che devono scorrere veloci sopportano valori brevi;
- le pause, che spezzano sovente il discorso in incisi di valore affettivo contrastante, devono essere intese come pause teatrali, da rendere anche mimicamente come tali e destinate a mettere in evidenza il contrasto degli affetti.
Sarà l'integrazione fra il senso delle parole e i due parametri musicali messi in notazione - altezza e durata - a suggerire all'interprete l'intonazione dinamica e timbrica migliore. Per il modo di muovere il tempo varrà quanto suggeriva Girolamo Frescobaldi pochi anni dopo nell'avvertimento Al Lettore del suo Secondo Libro di Toccate: «rimettendosi al buon gusto è fino giuditio del sonatore il guidare il tempo; nel qual consiste lo spirito, e la perfettione di questa maniera, e stile di sonare»16.
Il confronto fra le esecuzioni odierne e quanto risulta da analisi di questo tipo mette in evidenza i cambiamenti profondi avvenuti nell'espressività fra l'epoca di cui ci occupiamo e oggi. Sempre per esprimerci con un esempio citiamo, in quanto molto conosciuto e comunque più eseguito di qualsiasi recitativo coevo, il primo dei madrigali che compongono la Sestina di Claudio Monteverdi Lacrime d'Amante al Sepolcro dell'Amata17. Benché in modo meno evidente che nei Cori dell'Edipo Tiranno, il madrigale ha una struttura tendenzialmente omofona e comunque molto accordale, che si presta bene per il tipo di analisi che ci interessa18.

E' facile verificare come nella quasi totalità delle interpretazioni d'oggi il peso espressivo venga dato di preferenza ai sostantivi, soprattutto se concreti («spoglie», «tomba», «sole», «cielo») mentre dall'analisi appare invece come Monteverdi sottolinei con esclamazioni (note puntate) le sillabe toniche degli aggettivi «incenerite» e «avara», del sostantivo «Sol» - che, espresso con una nota acuta, si pone in alto come immagine luminosa - dei verbi «vegno» e «inchinarvi»che implicano la partecipazione spirituale e fisica del cantore, ecc., descrivendo, prima che i funebri oggetti - «spoglie», «tomba», ecc. - il loro valore immaginifico e soggettivo: «incenerite», «avara», ecc.
Da questa e da altre analisi si ricava in termini più generali che le parti del discorso sentite come importanti nel linguaggio odierno sono diverse da quelle che venivano sentite come tali in epoche passate. Nei recitativi il modo di esprimere il diverso peso espressivo delle parti del discorso è evidenziato ancora meglio che nei madrigali e, poiché le melodie e le durate espresse in notazione costituiscono di fatto precisissime note di regìa, un'analisi sistematica della storia di questo genere musicale potrebbe servire anche a ricostruire la storia dello stile di recitazione sia nel teatro d'opera che in quello di prosa.

NOTE

1. In G. Caccini, Le Nuove musiche..., Firenze, Marescotti, 1601.

2. N. Vicentino, L'antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma, Antonio Barre, 1555, lib. IV, cap. XXXXII, f. 94r, segnato per errore come f. 88.

3. Ibid., cap. XXIX, f. 85v.

4. Ibid., «Dichiaratione del modo di comporre una compositione Enarmonica con l'essempio à Quattro voci.», cap. LI, f. 67r.

5. Z. Muljacic, Fonologia generale e fonologia della lingua italiana, Bologna, Società editrice il Mulino, 1969, (paragrafo) 149, pag. 473.

6. Ibid., quarta pagina della prefazione.

7. G. Petrassi, Due liriche di Saffo, Milano, Edizioni Suvini Zerboni, 1942.

8. Chori in musica composti da M. Andrea Gabrieli, sopra li chori della tragedia di Edippo tiranno..., Venezia, Gardano 1588. Trascrizione in L. Schrade. La représentation d'Edipo Tiranno au Teatro Olimpico, Paris, C.N.R.S., 1960.

9. Ibid., Choro [Quarto], vv. 55-58.

10. E. de Cavalieri, Rappresentatione di Anima, et di Corpo, Roma, Nicolò Mutij, 1600.

11. J. Peri, Le musiche di Iacopo Peri nobil fiorentino sopra l'Euridice, Firenze, Giorgio Marescotti, 1600.

12. G. Caccini, L'Euridice composta in musica in stile rappresentativo da Giulio Caccini detto Romano, Firenze, Giorgio Marescotti, 1600.

13. E. de' Cavalieri, op. cit., pag. II.

14. E. de Cavalieri, op. cit., «Avvertimenti particolari per chi cantarà: & per chi suonarà».

15. G. Bonifacio, L'arte de' cenni con la quale formandosi favella visibile si tratta della muta eloquenza che non è altro che un facondo silenzio, Vicenza, Francesco Grossi, 1616.

16. G. Frescobaldi, Toccate e partite d'intavolatura di cimbalo... Libro primo, Roma, Nicolò Borboni, 1615.

17. C. Monteverdi, Il sesto libro de madrigali a cinque voci..., Venezia, Ricciardo Amadino, 1614.

18. Testo della quartina completa:

Incenerite spoglie, avara tomba
Fatta del mio bel Sol terreno Cielo,
Ahi lasso, i' vegno ad inchinarvi in terra.
Con voi chiuso è il mio cor e ha marmi in seno.