MAURO UBERTI

LA DIDATTICA DEL CANTO
FRA TRADIZIONE E SCIENZA

in «Foniatria e canto. Confronto di conoscenze, obiettivi, strategie».
Atti del 1° Convegno Nazionale - Salsomaggiore Terme 4-5 ottobre 1985

A cura dell'Azienda Termale di Tabiano
e delle Terme di Salsomaggiore S.p.A.

 

Al momento in cui, nella prima fase organizzativa di questo Convegno dovetti dettare il titolo della presente relazione non mi resi perfettamente conto del rischio che correvo riferendo i due concetti di tradizione e di scienza alla didattica del canto. Quando, infatti, cominciai ad elaborare le idee che intendevo esporre, mi accorsi che una tradizione nella didattica del canto probabilmente oggi non esiste più - o che, almeno, bisognerà accordarsi sul significato da attribuire a questo termine - mentre una scienza del canto non esiste ancora.
Il Grande Dizionario Enciclopedico del Fedele(1) definisce la tradizione come «la trasmissione da una generazione all'altra di credenze o di tecniche». Intanto è il caso di stabilire che cosa si debba intendere per tecnica (che nel nostro caso, è il concetto che interessa) e il Fedele, ancora una volta consultato, definendola secondo il senso greco del termine, la indica come «la capacità di raggiungere un determinato fine sapendo servirsi dei mezzi necessari». Applicando questa definizione al campo vocale dobbiamo constatare che qui il «determinato fine» è oggi tutt'altro che determinato, dal momento che le cosiddette «tecniche vocali» in uso sono molteplici e che ognuna di esse trova cultori e detrattori. Non solo: si constata anche che, nell'uso comune, il concetto di tecnica vocale è molto sfumato almeno per il fatto che ognuno dei cultori delle diverse tecniche sostiene per conto suo che la tecnica è una sola.
Allo stesso modo tanti altri termini in uso nel gergo vocale sono altrettanto ambigui e mi vien logico inferire che, compito primo della ricerca unificata tra Foniatria e Canto, obiettivo dichiarato di questo convegno, dovrebbe essere uno studio sulla terminologia in uso, che dissipasse anzitutto gli equivoci analogamente a quanto è stato fatto a suo tempo dalle scienze naturali.
Proponendoci comunque di cercare assieme la definizione del concetto di tecnica vocale e chiedendoci, per tornare a quello di tradizione, a quante generazioni risalgano le tecniche vocali attuali, scopriamo facilmente che la risposta ce l'hanno già, bella e pronta, gli storici del canto. Negli anni immediatamente precedenti il 1830 qualcuno (il Della Corte(2) avanza l’ipotesi che fosse il tenore Domenico Donzelli) scoprì che, abbassando la laringe come in uno sbadiglio dissimulato, la voce si faceva potente, oscura e drammatica mentre diventava agevole emettere le note acute. Era nata la «voix sombrée». Raoul Husson, il fisiologo francese che sarebbe ingiusto ricordare soltanto per un'ambiziosa quanto imprudente teoria neurocronassica, afferma che «Questa acquisizione costituisce la più grande scoperta di tecnica vocale fatta dopo gli inizi dei tempi storici dell'Arte Lirica»(3).
Fu certamente una rivoluzione, ma dobbiamo osservare che, come per tutte le rivoluzioni riuscite, il suo successo fu dovuto al fatto che i tempi erano maturi; d'altro canto è necessario notare che, come ogni rivoluzione, non trovò tutti consenzienti, tanto che il già citato Della Corte, nel suo studio: «Vicende degli stili del canto dal tempo di Gluck al '900», dopo aver detto che «I contemporanei considerarono il ventennio 1820-40 come la fine d'un'epoca e l'inizio d'un'altra»(4), afferma che «la pedagogia non fiancheggiava i nuovi orientamenti stilistici e le esigenze della cultura»(5). Più avanti, parlando degli anni '60, dedica un capitolo al «Nuovo sviluppo della cultura e assenza della pedagogia»(6) e, più avanti ancora, giunto a parlare degli «Stili e solfeggi del '900»(7), dichiara: «da più di un secolo, mentre gli stili del canto sono diventati tanto numerosi e diversi e la cultura si è tanto accresciuta, nulla si è operato nel campo della pedagogia stilistica»(8). E vero che anche qui, come detto precedentemente, sarebbe il caso di discutere sui termini: che cosa si deve intendere per: vocalità, per: stile, ecc. nel canto? Quali sono i confini tra le componenti tecniche e quelle musicali? Tuttavia non abbiamo bisogno di documenti d'archivio per constatare che, sessant'anni dopo la pubblicazione di questo studio, il «disorientamento», con cui l'autore intitolava uno dei capitoli(9) perdura. Alla molteplicità delle tecniche di derivazione romantica, inoltre, si deve oggi aggiungere quella derivante dalle ricerche vocali contemporanee (per fare un nome soltanto ricordo Cathy Berberian) e da quella che nasce dagli sforzi rivolti al recupero della prassi vocale pre-romantica.
Se questo Convegno avesse per tema: «Filologia e canto» potremmo metterci a discettare sulla storia delle tecniche vocali, sulle scelte stilistiche, ecc., ma, poiché l'art. 33 della Costituzione italiana dice che «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e poiché qui dobbiamo occuparci di «Foniatria e Canto», non possiamo che prendere atto di questa molteplicità delle tecniche vocali in uso, indipendentemente dalla nostra approvazione e dal nostro gradimento, e chiederci invece se esista almeno una tradizione comune nel loro insegnamento.
Apparentemente sì. Tutti i cantanti, quando hanno raggiunto la loro maturità tecnica, regolano l'emissione della loro voce guidandosi per mezzo di quello che A. Soulairac(10) definì «schema corporeo vocale». Valendoci della definizione sintetica che ne dà Husson diremo che «quando un soggetto parla o canta, ma soprattutto quando emette vocali a grande intensità, egli percepisce ad ogni momento un insieme complesso di sensazioni interne che provengono da tutte le zone e regioni attivate dal suo sforzo di emissione. Fra queste alcune sono percepite con un'intensità particolare: esse provengono dalla regione palato-naso-facciale e dalla cintura addominale. E' la loro percezione simultanea che costituisce propriamente lo schema corporeo vocale del soggetto, che dipende principalmente dalla vocale emessa, dalla sua intensità e dalla sua frequenza»(11).
In effetti la maggior parte dei maestri opera cercando di trasmettere agli allievi le proprie sensazioni e, apparentemente, tutto dovrebbe procedere bene; ma se oggi siamo qui riuniti per parlare di Foniatria e Canto è anche perché, forse, le cose così bene non vanno. Cerchiamo dunque di capire perché.
Intanto, abbiamo constatato, le tecniche vocali in uso sono più di una e, di conseguenza, ad ognuna di esse corrisponde un diverso schema corporeo vocale. Inoltre lo schema corporeo di un cantante esperto è diverso da quello di un principiante e ancor più diverso è lo schema corporeo di partenza di ogni individuo non educato al canto. Quindi, in pratica, è molto raro il caso che maestro ed allievo abbiano in comune schemi corporei vocali simili, su cui possano intendersi facilmente.
In assenza di una terminologia convenuta ed ufficiale si è formato così un gergo professionale, articolato in innumerevoli «dialetti» personali e rivolto a stabilire la comunicazione necessaria. Nanda Mari - nel suo «Colloquio fra canto e foniatria», scritto in collaborazione con Oskar Schindler e nel quale si auspica già quella collaborazione tra cantanti e foniatri, che oggi, qui, pare incominci a realizzarsi - ne dà un breve esempio: «Cantar sul fiato... risonanze davanti e di dietro.... di sopra e di sotto... in cima e in fondo... soffio dritto e curvo... buttare indietro il diaframma... fare palle e pere in fondo alla gola... slittamento della glottide... posizione leggera del palato... aprire il torace, il petto...»(12).
In tempi nei quali ritenevo che, anche nell'insegnamento del canto, ci si dovesse attenere ad un rigoroso scientismo(13) ho sorriso di questa terminologia, ma, a mano a mano che le mie cognizioni fisiologiche e la mia didattica andavano crescendo, mi ritrovavo a capire che, dietro questo linguaggio esoterico, si celavano tesori di esperienza. Accadeva, infatti, che riferimenti immaginifici, tratti da quello che prima consideravo vieto empirismo, riuscissero a far scattare nei miei allievi certi meccanismi finali, che i soli procedimenti razionalistici non riuscivano ad attivare. D'altra parte è vero che io - cantore poco o punto dotato dalla natura - dopo aver tentato invano, ai miei tempi, di capire maestri che - beati loro! - avevano cantato come uccelli su un ramo, mi ero messo in grado di comprenderne il linguaggio soltanto costruendo la mia voce a prezzo di ricerche fisiologiche ed esperimenti su me stesso.
La massa di queste conoscenze empiriche, presa globalmente, è però eterogenea e costituita di dati e procedimenti talora contrastanti. Tutto diventa chiaro, però, se teniamo conto del fatto che essi corrispondono a ideali estetici e tecniche vocali a volta a volta diverse e che, pertanto, diversi sono i mezzi e le strategie messe in atto per realizzarli.
Questa varietà di tecniche vocali - cui corrispondono almeno altrettanti schemi corporei - ha determinato anche la formazione di una molteplicità di metodi didattici, che si tramandano di maestro in allievo e che si modificano ad ogni generazione di cantanti in funzione della variabilità fisica individuale e dell'evoluzione del gusto. Ecco in che senso dicevo all'inizio, che una tradizione didattica del canto probabilmente oggi non esiste più e quale è, invece, il significato che, a parer mio, dovrebbe essere attribuito a questo termine.
A questo punto diventa inevitabile chiedersi quali siano oggi i rapporti esistenti fra la scienza empirica dei cantanti e quella sperimentale dei foniatri. A quanto mi pare di dover oggi constatare, io direi: di reciproca incomprensione. Il cantante, nella maggior parte dei casi, vede nel foniatra soltanto il medico cui ricorrere in caso di incidenti sul percorso, ma che non si capisce quali altri aiuti potrebbe dare, dato che è uno scienziato e non un artista. Il foniatra, che, di solito, incontra il cantante soltanto nel caso degli incidenti di percorso di cui sopra, tende a considerarlo unicamente un paziente particolare fra i tanti che sono oggetto delle sue cure. Né, del resto, dato lo stato attuale delle conoscenze scientifiche in materia di canto, sarebbe in grado di dargli molto aiuto al di fuori del campo patologico. Per farlo bisognerebbe che la fisiologia del canto, che oggi ha ancora le caratteristiche della ricerca pura, fosse già passato allo stadio di scienza applicata, in qualche modo analoga alla medicina sportiva.
Leon M. Lederman, in uno studio recente su «Il valore della scienza pura»(14) ha valutato in una trentina d'anni il tempo necessario perché questa trovi le sue applicazioni pratiche naturali. Se scorriamo la bibliografia della ricerca fisiologica sul canto possiamo constatare che le pubblicazioni sull'argomento prendono a comparire con frequenza significativa negli anni '50: dunque circa trent'anni fa. Il fatto che - per restare in ambito italiano incomincino a moltiplicarsi i convegni medici sull'argomento, così come si moltiplicano certe iniziative musicali di approccio scientifico al canto, induce a pensare che quel trentennio stia maturando anche per noi. Del resto questo Convegno ne è uno dei segni più evidenti.

NOTE

(1) FEDELE, P., fondato da, Grande Dizionario Enciclopedico, III ed., UTET, Torino.

(2) DELLA CORTE, A., Vicende degli stili del canto dal tempo di Gluck al 900, in «Canto e bel-canto», Torino, Paravia, 1933, p. 244.

(3) HUSSON, R., La voix chantée, Paris. Gauthier-Villars, 1960, p. 29.

(4) DELLA CORTE, A., op. cit., p. 246.

(5)ID., op. cit., p. 252.

(6) ID., op. cit., p. 262.

(7) ID., op. cit., p. 268.

(8) ID., op. cit., p. 269.

(9) ID., op. cit., p. 252.

(10) SOULAIRAC, A., Sensibilités internes et phonation: centres, voies, mécanisme, in «Revue de Laryngologie Portmann», suppl. novembre 1955, pp. 666-674.

(11) HUSSON, R., Physiologie de la phonation, Paris, Masson, 1962, p. 261.

(12) MARI, N. - SCHINDLER, O., Colloquio tra canto e foniatria, Padova, Zanibon, 1974, p. 9.

(13) UBERTI, M., La fisiologia nella didattica del canto, in «Educazione musicale», p. 98-99.

(14) LEDERMAN, L. M., Il valore della scienza pura, in «Le Scienze», n° 197, gennaio 1985, pp. 28-35.