MAURO UBERTI

IPOTESI
DI LETTURA QUANTITATIVA DELLA POESIA LATINA
ALLA LUCE DELL'ESPERIENZA MUSICALE MODERNA

Latinitas, Civitas Vaticana, an. MMVII, lib. II, pp. 168-176.

S.P.Q.R.


Il trasferimentodelle esperienze fra discipline diverse è sovente operazione feconda in quantoconsente di prendere in esame da prospettive nuove conoscenze date per acquisitee a scoprirne magari aspetti imprevisti. Nello scritto che segue parlerò dellascansione e della declamazione del verso latino alla luce della mia esperienzadi musicista.


La praticacorrente della lettura dei versi latini accetta come ineluttabile la perditadel senso della quantità linguistica e quindi la sostituzione degli accentiquantitativi con quelli intensivi: «tyre tu patu recubáns». Prescindendodalla contraddizione grammaticale implicita nella violazione della legge dellabaritonesi,[1] assunta a regola prosodica, è certoche la scansione della poesia latina fatta con accenti intensivi priva lapoesia stessa di tanta parte dei valori sonori della parola rendendolamortalmente noiosa. Pare invece a me che il trasferimento dell’esperienza musicalemoderna nella recitazione dei versi latini possa dar luogo ad ipotesi di lavororivolte a ritrovare il piacere dell’ascolto, meritevoli di essere almeno presein esame e che desidererei fossero verificate.


Il problema delrecupero delle prassi esecutive antiche non esiste solo per il latino; in campomusicale esso si pone per tutte le musiche anteriori all’invenzione delgrammofono, tanto è vero che la prassi esecutiva costituisce unadelle branche della musicologia. Anche in musica sono avvenuti cambiamentiequivalenti a quelli fonetici; anzi, più veloci. Siccome, a differenza dellapoesia, che può essere letta mentalmente, la musica ha bisogno di essereeseguita, è ancora più determinante per essa che il codice esecutivo impiegatosia coerente con quello compositivo: se questo avviene la comunicazione èmassima e massima è la comprensibilità; se non avviene la comunicazionediminuisce, con essa diminuisce la comprensibilità e subentra la noia. Nessunmusicista serio si illude di riuscire a cantare o suonare esattamente come aitempi antichi, se però, come accade, applicando le conoscenze di prassiesecutiva la comunicazione aumenta e con essa la godibilità delle musicheeseguite è ragionevole presumere che egli sia riuscito ad avvicinarvisi. Ilfenomeno del passaggio dalla accentuazione prevalentemente quantitativa dellemusiche rinascimentali e barocche a quella prevalentemente intensiva dellaprassi musicale attuale è molto simile a quello avvenuto a carico dellaquantità linguistica del latino. Mutatis mutandis pare a me cheanche per lettura dei versi latini sia possibile mettere a punto modi discansione adatti a restituire loro comprensibilità e godibilità.


Vorrei insisteresul fattore comprensibilità. Esattamente come per il recupero della musica antica,anche per quello del latino parlato la questione più grave non è quelladell’autenticità: il recupero di una qualche forma di quantità nel latinoparlato è soprattutto un problema di comunicazione. Quando Agostino giunge asuggerire all’oratore sacro l’uso di un arcaismo come ossum in luogo di os(os=ossoequivocabile con os=bocca) pur di rendersi comprensibile anche agliAfricani le cui «aures de correptione vocalium vel productione non iudicant»,[2]egli ci lascia capire quale importanza effettiva avesse la quantità nellacomunicazione quotidiana e vengono alla mente per analogia le barzellette sugliitaliani che, parlando in inglese oggi con gli inglesi, non comprendono o nonrispettano l’opposizione fra parole di diversa quantità. Il recupero e l’acquisizionedel senso della quantità sono quindi determinanti per la comprensione immediatadel testo poetico — e quindi per la sua godibilità — prima che ariprodurne la metrica senza che si sia costretti a continue analisi logiche perricostruirne il senso.


In musica gliaccenti di intensità e quelli di durata sono indipendenti. Nella musica vocale,segnatamente nella polifonia del XVI e del XVII secolo, è abituale lacollocazione degli accenti tonici delle parole sui tempi deboli a finiespressivi. Si veda il mottetto a tre voci Vox sanguinis fratris tui (fig. 1) diGregor Aichinger,[3] dove il senso drammatico delbrevissimo testo — «Vox sanguinis fratris tui clamat ad me de terra»[4] — èenfatizzato dal contrasto ritmico degli accenti tonici delle parole «sanguinis»,«me» e «terra» collocati sui tempi forti della battuta e di quelli delle parole«fratris», «tui» e «clamat» collocati invece sui tempi deboli.



Il tentativo dipervenire ad una plausibile ricostruzione della quantità dei versi latinipotrebbe passare attraverso tre successivi gradi di approssimazione. Il primo,e forse più accessibile a tutti, è quello di rappresentare semplicemente ladurata lunga o breve delle vocali come si fa nella lingua finnica, nella qualele vocali scempie rappresentano suoni brevi mentre le doppie rappresentanosuoni lunghi; e.g.: tuli (fuoco) e tuuli (vento):[5]


Ho ritenutoopportuno accentare la seconda delle vocali raddoppiate che si trovano insillaba tonica sulla base della mia esperienza di maestro di canto; nel cantoartistico, infatti, l’effetto di naturalezza nell’accentuare i suoni che devonoessere messi in evidenza, così come accade appunto per le sillabe toniche, èottenuto emettendoli con un lieve crescendo. È ovvio però che la messa a puntodi un eventuale sistema di scrittura alfabetica, utile a suggerire anche allettore inesperto la lettura corretta dovrebbe essere oggetto di una ricerca aparte.


Il fatto chenell’esempio precedente tra le sillabe con vocali raddoppiate se ne trovino dilunghe per posizione me ne richiama alla mente un altro: nel canto artistico lacontinuità sonora della linea melodica è ottenuta, fra l’altro, prolungando lavocale quando essa è seguita da due consonanti o da una consonante doppia.Nicola Vaccaj (1790-1848) nel suo famoso Metodo pratico di Canto Italianoper Camera in 15 Lezioni (1833)[6] è esplicito: «In questa prima lezione ladivisione delle sillabe si stacca dall’ordinario onde dare, il più possibile,idea del modo di pronunciare cantando; come consumare con la vocale il valoredi una o più note, ed unire la consonante con la sillaba seguente.» Ecco leprime battute dell’arietta:


Esempio musicale


Dato che larecitazione latina era molto declamata e quindi con tratti comuni a quelli delcanto, alla luce dell’esperienza musicale moderna il passo di Cicerone sullapronuncia della /i/ e della /o/ nelle parole che cominciano per /s/ o /f/(sapiens, felix) sembra perdere l’astrattezza della citazione per prendere unsenso più concreto, tanto più che egli distingue esplicitamente fra natura econvenzione: «Quid vero hoc elegantius quod non fit natura sed quodaminstituto?».[7]


La letturaquantitativa può essere ulteriormente facilitata sottoponendo alle vocalilunghe e brevi gli accenti tradizionali:


Esempio musicale


In tutti i casisi porrebbe la necessità di dare alla recitazione un ritmo regolare e a questopunto la pratica antica di scandire i piedi battendo appunto il piede potrebbetornare utile.


La letturaquantitativa è più agevole per chi sa leggere la musica. E’ normale per unmusicista cantare le parole di una melodia assegnando ad ogni sillaba il valoretemporale rappresentato dalla figura musicale corrispondente; di conseguenzagli è facile leggere senza intonazione un testo al quale siano sovrappostefigure di valore opportuno attribuendo ad ogni sillaba la durata rappresentatadalla figura corrispondente. Se, quindi, invece di usare i simboli « » e « » per indicare sillabe lunghe e sillabe brevi si adottano figuremusicali di valore corrispondente, per esempio la minima « » e la semiminima « » , diventa agevole recitare i versi latini dando loro i corretti valori didurata indipendentemente dalla collocazione degli accenti tonici delle parole.



Se a questo puntoil testo poetico latino viene esaminato attraverso la griglia di lettura usataper l’analisi di un testo musicale vocale,[8] le indicazioni che sene ottengono mi sembrano feconde:

    a) vale per lapoesia ciò che vale in musica e cioè che l’addensamento di valori brevi dà un sensodi concitazione mentre il ripetersi di valori lunghi dà un senso didistensione;

   b) lacollocazione dell’accento tonico della parola sul tempo debole del piede cosìcome su quelli della battuta musicale, cioè in un momento inaspettato, mette inevidenza la parola stessa;

   c) lacollocazione asimmetrica degli accenti può dare luogo alla formazione dicellule ritmiche, diverse da quelle dei piedi in cui si trovano secondo quantogià visto nel mottetto di Gregorio Aichinger.


Integrandoopportunamente fra il ritmo del verso ed il significato delle parole si possonoricavare indicazioni per un’interpretazione coerente con le intenzioni delpoeta. Nel primo verso dell’egloga citata, per esempio, gli accenti tonicidelle parole «patulae» e «recubans» cadono sul tempo debole del piedee lo spostamento d’accento che ne deriva mette in evidenza che la chioma delfaggio è ampia e che Titiro sta riposando mentre la sequenza delle tre sillabelunghe «recubans sub tegmine» (o, se si preferisce, «recubaans suub teegmine»), seguita apoca distanza dalle altre due lunghe di «fagi» (o, se si preferisce, «faagii») suggerisce unarecitazione che esprima mollemente il senso del riposo. Gli accenti tonicidelle parole «patriae finis» e «patriam fugimus» del terzoe quarto verso, poste sui tempi deboli dei piedi corrispondenti sottolineano anchedal punto vista ritmico la repetitio sulla quale si fonda la strutturaretorica del discorso. La sequenza degli accenti delle sillabe «–nare doces» delle parole«resonare doces» interrompe la regolarità del ritmo binario dando luogo ad unritmo ternario di danza dopo che l’ampia formosità di Amarilli è stata espressacon le tre sillabe lunghe della parola «formosam» (o, se sipreferisce, «foormoósam).



L’analisi di untesto poetico implica pure la melodia che è implicita nella sua scrittura; nona caso dice Cicerone che «Est autem etiam in dicendo quidam cantus obscurior».[9]Una delle caratteristiche del linguaggio poetico è quella di unire strettamentefra loro i concetti con l’artificio di annunciare ciò che è rappresentato dalleparole pregnanti anticipandone gli aggettivi, gli avverbi o i complementi chevi si riferiscono. L’esempio virgiliano citato è costruito quasi tutto conquesto criterio:



La recitazionesottintende sempre l’intonazione della frase; se non si tiene conto di questola lettura risulta ostica in quanto richiede il continuo esercizio mentale diricollegare fra loro parti del discorso che paiono essere unite soltanto dalleconcordanze grammaticali. Se invece si tiene conto del fatto che, nellaloquela, alle concordanze grammaticali corrisponde una concordanza diintonazione e ci si cura di rispettarla, tutto diventa chiaro, comprensibile e,soprattutto, godibile. L’intonazione ha da essere anzitutto quellarappresentata graficamente dalla punteggiatura, ma poi quella implicita nellastruttura retorica del discorso. I segni di punteggiatura sono di fatto lanotazione simbolica dell’andamento dell’intonazione della voce nell’espressionedella sospensione (virgola), dell’affermazione (punto fermo), dell’esclamazione(punto esclamativo) e dell’interrogazione (punto interrogativo), le cuicaratteristiche acustiche sono note dalla fonetica. La concordanza diintonazione, quindi, è da intendersi soprattutto come concordanza di intentiespressivi e non soltanto come concordanza acustica dell’altezzadell’intonazione. Nell’esempio virgiliano in esame, per esempio, la concordanzafra le parole «dulcia» ed «arva» del terzo verso si riferisce al sensoesclamativo delle due intonazioni discendenti.


Ad esempio dellecose dette propongo ora la rappresentazione grafica di una possibilerecitazione dei cinque versi di Virgilio. La scrittura dell’altezza tonale conle parole poste a cinque livelli, prima che a quella usata in fonetica oggi, sirifà alla notazione musicale dasiana del IX secolo.[10]



È presenteinoltre l’indicazione delle cesure, che, benché non prese in esame in questodiscorso in quanto non indispensabili all’argomento, costituiscono comunque unelemento formale di fondamentale importanza. A questo proposito e comeanticipazione della trattazione dei problemi relativi all’actio, dei qualidicevo, mi pare interessante osservare che la maggior parte degli aggettivi cheanticipano di qualche parola il sostantivo cui si riferiscono — «patulae»del primo verso, «tenui» del secondo, «dulcia» del terzo, «formosam» e «doces»del quarto — e che, almeno a me, pare debbano essere messi in evidenzacon un’intonazione esclamativa, cade prima della cesura la quale non appare piùsoltanto come tratto ritmico del verso, ma anche come tratto retorico, checonferisce signicato alla recitazione.




[1] Legge della baritonesi: in latinol’accento tonico non cade mai sull’ultima sillaba.

[2] Agostino,Dedoctrinachristiana IV, 9, 24.

[3] AichingerGregor, Regensburg, 1564-Augsburg, 1628.

[4] Genesi, 4, 10.

[5] Malmberg,Bertil, Manuale di fonetica, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 255 (Edizione originale: Manuelde phonétiquegénérale, Paris,Éditions A. & J. Picard, 1974).

[6] VaccajNicola, Metodo pratico di canto italiano per camera in 15 lezioni..., edizione moderna a cura diMichael Aspinall, Torino, Zedde, 1999.

[7] CiceroM. Tullius, Orator ad M. Brutum, 159.

[8] Mi permetto di rinviare ad un mioarticolo sul recitativo, reperibile alla pagina: http://www.maurouberti.it/recitirhmes/recitirhmes.html.

[9] CiceroM. Tullius, op. cit.,57.

[10] Anonymus, MusicaEnchiriadis, acura di Hans Schmid, Musica et scolica enchiriadis una cum aliquibustractatulis adiunctis, Bayerische Akademie der Wissenschaften, Veröffentlichungender Musikhistorischen Kommission, Band 3 (München: Bayerische Akademie derWissenschaften; C. H. Beck, 1981), 1-59. Fonte: Thesaurus MusicarumLatinarum, Schoolof Music, Indiana University, Bloomington, IN 47405http://www.music.indiana.edu/tml/9th-11th/MUSENCI_03GF.gif